Qualcuno ci ha detto che è l’ennesimo slogan, lanciato per attirare l’attenzione, che non serve un meccanismo più punitivo, e che la nostra legislazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro è una delle migliori in Europa e che prevede già sanzioni, di tipo amministrativo e penale per chi vìola la normativa vigente.
Peccato, ed è ben noto, che nel nostro Paese la certezza della pena sia la cosa meno certa e che nel lungo iter di ricerca dei responsabili e di attribuzione, quindi, di un’eventuale pena pecuniaria o detentiva, passano i tempi infiniti della nostra Giustizia che lascia, spesso, ai familiari delle vittime sul lavoro, la sensazione di una sconfitta doppia. Che si moltiplica ulteriormente quando il reato passa in prescrizione o magari si finisce al patteggiamento della pena.
E così “I morti sono morti due volte: una volta quando sono stati uccisi e una volta quando qualcuno ha detto che era un incidente, un errore”, come ben ha detto il drammaturgo e scrittore Stefano Massini, a Piazza del Popolo, il 19 marzo scorso, davanti a una distesa di 1.041 bare di cartone. Tante, quante sono state le vittime sul lavoro, rispetto a chi era assicurato Inail nel 2023.
Per questo abbiamo deciso, come Organizzazione sindacale, da sempre attenta al tema della salute e sicurezza sul lavoro, che dovevamo mostrare la realtà, che non era sufficiente, forse, leggere tutti i giorni dell’ennesima morte sul lavoro, in questo o quell’altro quotidiano, ma che occorreva “far vedere” di chi e di quante persone stiamo parlando. Per non relegarli in quel dimenticatoio nel quale la Non Giustizia di questo Paese probabilmente li vorrebbe.
Abbiamo quindi portato in piazza, a Roma prima e in altre sette grandi città poi, il ricordo di quelle persone, i cui familiari, in molti casi, attendono ancora oggi, come sentiamo dire spesso, che la Magistratura faccia il suo corso…
Chiedere che venga istituito al più presto il reato di omicidio sul lavoro è tutt’altro che uno slogan. È un monito a prendere decisioni concrete, davanti a un fenomeno in grave e sempre più preoccupante ascesa – e lo dimostrano i dati ufficiali del nostro Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro – che merita azioni e provvedimenti più incisivi che sappiano dare Giustizia a chi giustizia invoca e che nel contempo fungano da deterrente a chi, senza alcuno scrupolo, mette a rischio la vita delle persone, pensando, a ragione, di cavarsela con poco.
L’istituzione del reato serve perché in questo Paese qualche datore di lavoro pensa di poter far lavorare in nero un lavoratore, in evidente stato di necessità, sfruttandolo, e magari non trova disumano, dopo che un macchinario gli ha reciso un braccio, abbandonarlo a casa, lasciandolo così morire dissanguato.
Il reato serve perché in troppe aziende si è evidentemente perso il valore della vita umana e se non fermiamo questa deriva, affermando in maniera chiara i valori che dovrebbero essere a fondamento della nostra Società, il luogo che ci troveremo ad abitare, sarà un luogo orribile, per chiunque.Nessuno, lo ribadiamo, ha mai detto che questo sia sufficiente. Certo vorremmo che a quei morti non si arrivasse mai e che non si dovesse discutere di appesantire le pene o di istituire nuove fattispecie di reato ma la realtà, come detto, è quella delle bare di cartone, vuote, ma piene della rabbia di chi vorrebbe i responsabili in galera, nei tempi giusti e per gli anni che merita.
Insomma, è chiedere troppo al Legislatore, di istituire una fattispecie autonoma di reato che, a chi uccide persone, sul lavoro, applichi la giusta pena? Magari disciplinando le diverse aggravanti del reato stesso?
Se è avvenuto per chi vìola le norme sulla disciplina della circolazione stradale o della navigazione marittima o interna, perché non può essere fatto per chi vìola la normativa vigente sulla salute e sicurezza sul lavoro?Sebbene infatti all’articolo 589 del Codice penale il reato di omicidio colposo sia punito più severamente in caso di violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, questo non sembra essere affatto un deterrente sufficiente al determinarsi di tali reati che, come purtroppo sembrano mostrarci le gravi vicende degli ultimi mesi, ma non solo, continuano inesorabilmente e anzi, come detto poc’anzi, sembrano aumentare.
Sì perché pur consapevoli – ma con qualche dubbio – che la causa delle vittime sul lavoro possa, in qualche caso sporadico, essere imputabile al cosiddetto “fattore umano”, a una distrazione del lavoratore o della lavoratrice, a un evento accidentale, a un errore, siamo convinti che, nella maggior parte dei casi, purtroppo, sia proprio la violazione della normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro a determinare infortuni, malattie professionali – per le quali, ed è un dato gravissimo, muoiono all’anno circa 1000 persone – o addirittura la morte di lavoratori o lavoratrici. Violazione che sembra avvenire abbastanza di frequente nel nostro Paese.
A dircelo sono i dati, come quelli relativi all’attività di vigilanza svolta dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro nel 2023 e pubblicati nell’ultimo Rapporto annuale, dai quali si evince che le violazioni in materia di salute e sicurezza sono state il 44% in più rispetto all’anno precedente (36.680 vs 25.481), per un tasso di irregolarità riscontrato, su 20.755 accessi ispettivi, pari all’85%.
36.680 violazioni, delle quali la maggior parte concentrate nei settori del terziario (18.868) e dell’edilizia (10.025), dove sappiamo, peraltro, che si registrano numeri altissimi di morti e infortuni.
Senza contare le “gravi” violazioni riscontrate durante le visite ispettive a seguito delle quali – come previsto per legge e ulteriormente inasprito con la Legge 2015/2021 – è stata disposta la sospensione di 4.098 attività imprenditoriali, il 37% sul totale dei provvedimenti di sospensione adottati.
Senza voler fare una disamina in questa sede della tipologia di violazioni riscontrate, certo non può non balzare all’occhio che tra i primi obblighi normativi ad essere trasgrediti, vi siano quelli relativi alla sorveglianza sanitaria e alla formazione/informazione (32% in entrambi i casi).
Obblighi su cui non si può certo transigere e che, se si guarda al solo settore dell’edilizia risultano sempre fra i primi posti, quasi al pari, in questo caso, di quelli relativi ai rischi di caduta dall’alto.
Insomma, violazioni commesse da responsabili d’impresa che senza alcuno scrupolo pensano di dare avvio o proseguire attività lavorative, anche in settori particolarmente a rischio, come nell’edilizia, senza garantire le condizioni minime di tutela, rese possibili, evidentemente, solo a seguito di una sorveglianza sanitaria attenta, di un’attività di formazione efficace e specifica per la tipologia di rischio e certamente provvedendo a valutare adeguatamente e fornire i giusti dispositivi di protezione per i rischi di caduta dall’alto.
Condizioni minime di tutela che ai 1.041 morti sul lavoro del 2023 – quelli che abbiamo ricordato con le bare a Piazza del Popolo – probabilmente non sono state garantite. Condizioni minime che certo non erano presenti nel cantiere di Firenze, dove hanno perso la vita 5 operai, o a Brandizzo dove a morire sono stati in 6, o a Suviana in 7 e a Casteldaccia, 5.
Ovviamente non basta citare le ultime terribili stragi sul lavoro – in termini di tempo – per dare contezza della gravità del fenomeno, non basta continuare a ricordare che ogni giorno muoiono 3 persone, lavoratrici e lavoratori, che non muoiono certo per pura distrazione, o a causa del fantomatico errore umano!
Muoiono perché evidentemente qualcuno non ha garantito loro le famose giuste – e sacrosante – tutele, muoiono perché qualcuno ha pensato che violare le norme, esistenti nel nostro Paese, evidentemente non fosse così grave o forse perché la pena, quella che noi chiediamo di appesantire, sì, e a ragione, non è garantita!
Non pensiamo di pretendere l’inverosimile, peraltro alcuni disegni di legge in merito sono stati già presentati in questi anni. E siamo comunque abituati a sentirci dire come le nostre rivendicazioni siano in qualche modo folli. Era avvenuto anche quando avevamo lanciato la Campagna Zero Morti sul Lavoro, nell’aprile del 2021.
Anche allora ci dissero che Zero morti sul lavoro era uno slogan e che era un obiettivo irrealizzabile azzerare le morti sul lavoro. Ci siamo sentiti dire che occorrevano azioni concrete, piuttosto, le stesse, peraltro, che da anni chiediamo al Governo e che abbiamo proposto nelle nostre piattaforme rivendicative, anche unitarie, ma la maggior parte delle quali non ha mai trovato risposta.
Sì perché davanti a questa strage quotidiana, di lavoratrici e lavoratori, non è sufficiente punire, con pene più o meno pesanti, i responsabili – se mai questo avvenga – e non bastano certo l’indignazione o i messaggi di cordoglio alle famiglie, serve l’istituzione di una Procura speciale, nella quale operi un coordinamento di magistrati specializzati in materia a cui demandare la competenza sui procedimenti relativi ai reati commessi in violazione delle norme sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Serve porsi obiettivi reali, costruire, ad esempio, una Strategia Nazionale, da realizzare con il coinvolgimento di Istituzioni e Parti Sociali, che sappia mettere in campo una pianificazione attenta delle azioni da intraprendere e che abbia come obiettivo principale la diminuzione sostanziale se non l’azzeramento delle morti sul lavoro.
Come serve, parallelamente, che l’azione dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro venga rafforzata, sia in riferimento al numero di attività ispettive effettuate sia in termini di risorse umane. Serve che i Dipartimenti di Prevenzione delle ASL siano messi nelle condizioni di svolgere a pieno titolo l’attività per cui sono nati, anche attraverso investimenti più cospicui da destinare loro.
E serve soprattutto che il Governo si decida, una volta per tutte, a mettere realmente al centro dell’agenda degli impegni questo tema, magari dando attenzione alle tante proposte che abbiamo fatto in questi anni, attraverso una programmazione puntuale che più volte ha promesso ma che di fatto non è mai stata realizzata.
L’istituzione del reato di omicidio sul lavoro sarebbe per noi solo l’inizio di un percorso, fatto di scelte coraggiose, che sappiano dare risposte efficaci alla piaga che stiamo vivendo. Ma da solo non basta.
Zero morti sul lavoro rimane per noi l’obiettivo. E il nostro impegno non finirà certo quando il reato sarà istituito. Speriamo.
[*] Segretaria Confederale UIL
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