Il fenomeno della gig economy, e il dibattito dottrinale e giurisprudenziale che si è formato attorno alla corretta qualificazione della natura giuridica del rapporto tra lavoratori e piattaforme digitali, ha fatto sì che il tema dell’orario di lavoro tornasse di grande attualità e ha portato a chiedersi se e in quali termini l’assenza della predeterminazione dell’orario o la possibilità in capo al lavoratore di accettare “quando” svolgere la prestazione possano incidere sulla qualificazione dei rapporti in questione e quindi sulle tutele.
Le trasformazioni che hanno accompagnato l’avvento della gig-economy hanno avuto una grande influenza sull’organizzazione del lavoro, e dunque, sulla gestione del tempo di lavoro, oltre che sullo spazio di lavoro. Infatti, risulta attenuata l’effettività della norma lavoristica perché sono indeboliti i due parametri dello spazio e del tempo[1], in quanto non sempre vi è identità tra luogo in cui si trova il lavoratore e luogo in cui il lavoro produce i suoi effetti[2] .
Per via della frammentazione delle coordinate di tempo, luogo e azione, pare che l’orario di lavoro non assolva più ad alcune di quelle che tradizionalmente sono considerate le sue funzioni principali, tra le quali la funzione di tutela della salute del lavoratore subordinato, mediante l’apposizione, da parte del legislatore e della contrattazione collettiva, di limiti alla durata della prestazione, e la funzione che lo vede come indice sussidiario utilizzato per la qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato.
Se in un contesto quale quello dell’organizzazione di stampo fordista l’orario di lavoro poteva consentire una certa separazione tra tempo-lavoro e tempo-persona, l’evoluzione tecnologica e la riorganizzazione dello stesso sistema fordista hanno scardinato questa separazione e hanno mutato significativamente l’organizzazione del lavoro.
Si assisterebbe pertanto ad una vera e propria erosione[3] delle tutele riservate ai lavoratori, che sarebbe controbilanciata dal vantaggio che la piattaforma offrirebbe a questi in termini di autonomia e flessibilità.
Nel lavoro mediante piattaforme digitali, la funzione dell’orario quale strumento di tutela della salute del lavoratore sembrerebbe preclusa dall’assenza stessa dell’orario di lavoro. In realtà, analizzando le modalità concrete di organizzazione della prestazione nel lavoro mediante piattaforme, si osserva che, sebbene sia assente l’orario di lavoro tradizionalmente inteso, vi sia comunque un’organizzazione della prestazione con riferimento al tempo. L’assenza dell’orario è infatti solo apparente, in quanto il tempo di lavoro riveste anche in tale contesto un ruolo fondamentale, ed è gestito dall’algoritmo.
Le piattaforme, mediante l’uso di algoritmi, predispongono un modello organizzativo che non prescinde dall’individuazione del tempo di lavoro: prendendo come esempio il servizio di consegna a domicilio, la piattaforma certamente organizza la prestazione predisponendo delle fasce orarie nelle quali la consegna va effettuata; tuttavia, formalmente, non si può affermare la sussistenza di un orario di lavoro vincolante.
Ciò in quanto non vi è individuazione del soggetto lavoratore tenuto al rispetto del vincolo orario (che consentirebbe, insieme agli altri indici di qualificazione, di ritenere sussistente la subordinazione). L’interesse della piattaforma non viene dunque meno con riferimento al quando deve essere eseguita la prestazione, ma con riferimento al debitore della prestazione nella data fascia oraria.
Tale modalità organizzativa ha consentito dunque alla piattaforma di affermare l’assenza di vincoli per il lavoratore, che può scegliere se e in quale finestra temporale inserirsi per eseguire la prestazione.
E in ciò che probabilmente si concretizza il paradosso: lo svolgimento della prestazione con l’uso delle tecnologie costringe il lavoratore a rendersi maggiormente disponibile, e dunque ad ampliare il tempo che egli dedica al lavoro e non alla propria vita personale, ma, al tempo stesso, la circostanza secondo cui egli è formalmente libero di scegliere quando lavorare fa del lavoratore digitale un lavoratore autonomo che non può usufruire delle tutele che la disciplina sull’orario di lavoro pone a presidio della salute del prestatore subordinato.
In questo modo si dà all’orario di lavoro un ruolo che in realtà non ha mai avuto, essendo sempre stato considerato indice solo sussidiario nel processo di qualificazione della natura del rapporto. Si pensi al lavoro agile. Quest’ultimo è modalità di svolgimento del lavoro subordinato che presenta un profilo causale diverso da quello del tradizionale rapporto subordinato di cui all’art.2094 c.c., essendo volto a un assetto di interessi peculiare, caratterizzato da un lato dalla competitività dell’impresa e la responsabilizzazione del lavoratore, dall’altro dalla conciliazione dei tempi di vita-lavoro del prestatore[4].
Nel lavoro agile il coordinamento spazio-temporale ha minore incidenza ai fini della qualificazione della natura giuridica del rapporto di lavoro nonché ai fini retributivi.
Tuttavia, occorre osservare come in concreto non siano numerosi i casi in cui la prestazione svolta in modalità agile prescinda del tutto dall’aspetto temporale[5] e non manchino i dubbi sul rapporto tra l’attività svolta in modalità agile e la parte dell’attività resa in modalità tradizionale, ai fini del rispetto del limite massimo di durata della prestazione[6].
L’esistenza di limiti alla prestazione svolta fuori dall’azienda in modalità agile non contraddice del tutto la natura dello smart working, ma dimostra il perdurare dell’importanza del tempo di lavoro anche e soprattutto laddove si riscontri un incremento di flessibilità.
Si può dunque affermare che nell’organizzazione del lavoro mediante piattaforme non solo l’orario di lavoro non è assente, ma ha assunto una diversa connotazione, che deve essere presa in considerazione per la tutela della salute del lavoratore digitale.
Le considerazioni svolte nel paragrafo precedente in ordine alle difficoltà che il tempo di lavoro incontra nella tutela della salute del lavoratore digitale, portano a chiedersi se la “crisi” dell’orario di lavoro nell’assolvimento delle sue funzioni sia da attribuire al fenomeno della gig-economy, in cui si registra certamente una crescente divaricazione tra orario e il tempo di lavoro, al punto che quest’ultimo rileva in quanto tempo produttivo[7] anche se non coincide con il tempo-orario[8], con conseguente aumento della porosità tra tempi di vita e di lavoro.
Tuttavia, si osserva che la stessa definizione di orario di matrice comunitaria[9] presenta margini di indeterminatezza, tanto che la stessa Corte di Giustizia si è più volte pronunciata sulla qualificazione di tempi quale quello di reperibilità[10] e in generale sulla possibilità che determinati segmenti di tempo rientrino nella nozione di orario di lavoro ai sensi del diritto comunitario[11]. La normativa comunitaria, ma anche nazionale, pone infatti numerose deroghe alla disciplina[12], che consentono una flessibilizzazione temporale della prestazione, e che danno al datore di lavoro strumenti flessibili volti a soddisfare esigenze dell’impresa.
Si pensi poi alle tipologie contrattuali usate per lo più per far fronte a esigenze occupazionali, come il part-time, che consente il ricorso alle clausole elastiche, vanificando le finalità conciliative e di programmazione del proprio tempo di vita.
Pertanto, la funzione di tutela della salute del lavoratore è stata messa in discussione, prima ancora che dalle nuove modalità di organizzazione del lavoro, dalla stessa disciplina, oltre che dalla diffusione delle collaborazioni coordinate e continuative e dalla diffusione di rapporti di lavoro o di modalità di esecuzione del lavoro subordinato senza un orario di lavoro predeterminato, come il lavoro agile prima richiamato o il lavoro a domicilio, che ha reso sempre meno rilevante l’orario di lavoro come indice di qualificazione sussidiario.
Dall’analisi della giurisprudenza nazionale e comunitaria che si è occupata di rispondere alle istanze di tutela dei lavoratori mediante piattaforme digitali, in particolare dei rider[13], è emerso che l’innovazione tecnologica e i nuovi modi di lavorare, non abbiano fatto venir meno l’importanza del tempo di lavoro: sono stati al più sovrapposti il piano della libertà sul “quando lavorare” con il piano fattuale delle modalità di svolgimento della prestazione. Tuttavia, occorre fare i conti con la circostanza secondo cui per poter riconoscere determinati segmenti di tempo come orario di lavoro, anche ai fini della tutela della salute, è necessario prima risolvere la questione qualificatoria.
Allo stesso modo, le prospettive poste in ambito internazionale e comunitario[14], predispongono un quadro di diritti applicabile nella maggior parte dei casi ai soli lavoratori definiti come tali secondo i criteri della Corte di Giustizia.
Preso atto della resistenza al superamento del sistema dicotomico, basato sulla distinzione tra lavoro subordinato e autonomo, che emerge sia dalla giurisprudenza sia dalle proposte di tutela che solo parzialmente si pongono in un’ottica universalistica, si potrebbe riflettere sulla possibilità, da un lato, di intervenire sulla nozione di orario di lavoro, per incrementare la tutela della salute degli stessi lavoratori subordinati che operano con l’utilizzo di tecnologie digitali; dall’altro lato, con riferimento ai lavoratori che non rientrano nella fattispecie della subordinazione, sulla necessità di scindere la qualificazione dei tempi ai fini di tutela della salute e della sicurezza del lavoratore, quale diritto fondamentale spettante a tutti i lavoratori, dalla qualificazione del rapporto per l’applicazione dello statuto protettivo del lavoro subordinato[15].
[1] Sul punto si rinvia a Magnani M., I tempi e i luoghi del lavoro. L’uniformità non si addice al post-fordismo, in WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona". IT – 404/2019
[2] Villalòn J. C., Trasformazioni delle relazioni industriali, in DLRI n.158/2018, p.476
[3] Prassl J., Human as a service, The Promise and Perils of Work in the Gig Economy, University Press, Oxford 2018, p.24
[4] Perulli A., Il Jobs Act del lavoro autonomo e agile. Come cambiano i concetti di subordinazione e autonomia nel diritto del lavoro, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 341/2017, p.15-16
[5] Si rinvia alle considerazioni di Fenoglio A., Fenoglio A., Tempo e subordinazione: riflessioni intorno al lavoro agile, in LLI, Vol. 8, No. 1, 2022, p.187, e di LECCESE V., La misurazione dell’orario di lavoro e le sue sfide LLI, Vol.8, No.1, 2022
[6] D’altra parte, come osserva Fenoglio A., in Tempo e subordinazione: riflessioni intorno al lavoro agile, in LLI, Vol. 8, No. 1, 2022 p.192 “la diffusione di modalità di lavoro innovative non possono giustificare deroghe agli obblighi posti dalla direttiva n. 2003/88 a tutela della salute e della sicurezza dei dipendenti e l’inevitabile regresso delle tutele che ne deriverebbe”
[7] Per cui si rinvia a Martelloni F., Metamorfosi del lavoro e polisemia del tempo: riconoscerlo, proteggerlo, remunerarlo, in Archivio giuridico n.2/2019 p.261
[8] Bavaro V., Questioni in diritto su lavoro digitale, tempo e libertà, in RGL n.1/2018, p.54
[9] Ai sensi della Direttiva 88/2003 è orario di lavoro “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”; in modo speculare, è periodo di riposo “qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro”
[10] Corte di Giustizia Ville de Nivelles/Rudy Matzak, causa C-518/15, e da ultimo Corte di Giustizia CE, Grande Sezione, 09 marzo 2021, causa C-344/19
[11] BX c. Unitatea Administrativ Teritorială D, sentenza 28 ottobre 2021, causa C-909/19, sui tempi di formazione
[12] Si rinvia sul punto a LECCESE V., La misurazione dell’orario di lavoro e le sue sfide LLI, Vol.8, No. 1, 2022
[13] Si fa riferimento alla sentenza del Tribunale di Torino n.778/2018, della Corte d’Appello di Torino n.26/2019, della Cassazione n.1663/2020, del Tribunale di Palermo n.3570/2020 e del Tribunale di Milano n.1018/2022
[14] Si segnalano quelle che propongono l’estensione dei c.d. standard OIL, Risoluzione del Parlamento europeo del 19 gennaio 2017 su un pilastro europeo dei diritti sociali, la Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell'Unione europea
[15] Mazzotta O., L’inafferrabile etero-direzione: a proposito di ciclofattorini e modelli contrattuali, in Labor, Il lavoro nel diritto, n.1/2020, p.12
[*] Dottoressa di ricerca e Ispettrice del lavoro. Vincitrice del “Premio Massimo D’Antona”, Fondazione Prof. Massimo D’Antona ETS, Edizione 2023. Le considerazioni contenute nel presente articolo sono frutto esclusivo del pensiero dell’autrice e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.
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