Anno XII - n° 64

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Luglio/Agosto 2024

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Mobbing e stress da lavoro correlato – esiste il nesso di causalità?


di Mirko Ginelli [*]

Mirko Ginelli 64

Il presente intervento risponde alla finalità di individuare una connessione logico-giuridica tra il rischio da stress da lavoro correlato e le condotte mobbizzanti.

In via preliminare, anche al fine di fornire adeguata collocazione argomentativa, occorre enucleare la definizione di mobbing, inteso come quel comportamento molesto, persecutorio, finalizzato ad emarginare il lavoratore, a farlo sentire un intruso, dal verbo to mob, ossia assalire, mutuato dal suo utilizzo nella descrizione di azioni in natura proprie di quei predatori che attaccano le prede[1]. Al di fuori del parametro semantico, accedendo alla inclinazione giuridica, emerge che le condotte vessatorie di parte datoriale hanno ricaduta, di natura civile e penale. 

Ginelli 64 1Dall’angolatura civilistica si richiama l’art. 2087 cod. civ. che impone all’imprenditore di adottare, nell’esercizio dell’impresa, le misure che sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. L’analisi tassonomica del precitato articolo, in prima battuta, lascia desumere che il datore di lavoro sia chiamato a porre in essere condotte “positive” atte alla tutela del lavoratore, non contemplando le ipotesi di condotte vessatorie, che presuppongono un agire negativo a scapito del medesimo prestatore di lavoro. Tuttavia, la consolidata giurisprudenza interpreta in senso più ampio le modalità di condotta, che determinano la risarcibilità ex art. 2087 cod. civ. del danno anche a causa di condotte vessatorie[2].

Anche la dottrina, al riguardo, fornisce una lettura omnicomprensiva della condotta datoriale in violazione della normativa codicistica sopra menzionata, da cui si sia determinato un nocumento nella sfera psicofisica del lavoratore[3], che si sostanzia in un intreccio indissolubile tra i fattori di “fare” e di “non fare”, per raggiungere l’obiettivo di scongiurare fonti di pregiudizio per il lavoratore[4].

Per quanto, invece, concerne le condotte penalmente rilevanti, pur non sussistendo ipso facto una precipua condotta antigiuridica e, conseguentemente, uno specifico nomen iuris, la casistica giurisprudenziale riconduce le condotte datoriali di natura vessatoria a fattispecie varie, come quelle previste dagli artt. 590 c.p. (lesioni personali colpose), 610 c.p. (violenza privata), 594 c.p. (ingiuria), 595 c.p. (diffamazione), 660 c.p. (molestia), 612 c.p. (minaccia).

Dopo aver fornito i suddetti elementi espositivi in tema di mobbing, al fine di individuare la connessione funzionale con il logorìo psico-fisico da lavoro, è necessario fornire anche la definizione di stress da lavoro correlato, onde consentire l’opportuna sinapsi con il comportamento mobbizzante. In fase di recepimento dell’accordo quadro europeo dell’8 ottobre 2004, l’accordo interconfederale del 9 giugno 2008[5], all’art. 3 comma 1, ha individuato lo stress come “una condizione che può essere accompagnata a disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro”. Il comma 3 del medesimo articolo, tuttavia, precisa che lo stress non è una malattia ma una situazione di prolungata tensione che può ridurre l’efficienza sul lavoro e può determinare un cattivo stato di salute.

L’art. 28 comma 1 del T.U. 81/08 e smi, recependo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004, prevede che la valutazione dei rischi debba riguardare [ ] anche lo stress da lavoro correlato ed il successivo comma 1-bis stabilisce che siffatta valutazione debba essere effettuata “… nel rispetto delle indicazioni di cui all’art. 6 comma 8, lettera m-quater” (n.d.r. del medesimo Decreto)a decorrere dalla data di elaborazione delle precitate indicazioni e comunque, mancando tale elaborazione, a far data dal 1° agosto 2010.

La consequenziale ricaduta attiene alla metodologia da utilizzare per l’effettuazione della valutazione del rischio da stress lavoro correlato, individuata dalla Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro. In base alle indicazioni fornite dalla Commissione[6], la valutazione del rischio de quo deve essere articolata in due fasi: una necessaria, sostanziandosi in una valutazione preliminare, ed una eventuale, che si attiva nell’ipotesi in cui la valutazione preliminare rilevi elementi di rischio da stress da lavoro correlato ed il datore di lavoro abbia adottato misure di correzione inefficaci.

In ordine alla valutazione preliminare, deve essere rilevata la sussistenza di indicatori oggettivi e verificabili, di apprezzabile consistenza numerica, riconducibili a tre distinte famiglie:

  1. Eventi sentinella, quali sono gli indici infortunistici, assenze per malattia, turnover, procedimenti e sanzioni disciplinari, segnalazioni al medico competente;
  2. Fattori di contenuto del lavoro, come l’ambiente in cui si svolgono le prestazioni, attrezzature, carichi e ritmi di lavoro, orari e turni, la corrispondenza tra le competenze ed i requisiti professionali richiesti;
  3. Fattori di contesto del lavoro, quali i ruoli organizzativi, l’autonomia decisionale e di controllo, l’evoluzione e sviluppo di carriera, la comunicazione afferente alle prestazioni richieste ed i conflitti interpersonali al lavoro.


È di palmare evidenza che l’impatto mobbizzante s’inneschi tra i fattori di stress nel contesto lavorativo, concretizzandosi soprattutto in condotte conflittuali, da intercettare e, se presenti, eliminare con una attenta analisi. Sul punto e con riferimento ai fattori di contenuto e di contesto lavorativi (punti II e III), la Commissione evidenzia che, al fine di effettuare la valutazione del rischio, occorra “sentire” i lavoratori e/o i rappresentanti dei lavoratori sulla sicurezza (anche territoriali), pur non entrando nel merito delle modalità di ascolto dei lavoratori da parte del datore di lavoro.

Una volta effettuata la valutazione preliminare, qualora non emergano elementi riconducibili allo stress da lavoro correlato che determinerebbero misure correttive, parte datoriale sarà esclusivamente tenuta a darne conto nel Documento di valutazione del Rischio, prevedendo un piano di monitoraggio. Per converso, in caso di rilevati elementi di rischio, per cui sia necessario approntare azioni correttive, il datore di lavoro procederà alla pianificazione ed alla adozione di interventi correttivi. Il successivo passaggio operativo, di natura eventuale, sarà quello della valutazione approfondita, allorquando gli interventi correttivi risultassero inefficaci.

La valutazione approfondita dovrà incentrarsi sulla percezione soggettiva dei lavoratori relativamente al rischio di stress, con misurazioni mediante strumenti quali questionari, interviste, riunioni.

Il nesso eziologico tra il mobbing o lo straining (intesa come condotta vessatoria unica o limitata) e lo stato di stress da lavoro è stato individuato da taluni arresti della giurisprudenza di legittimità, uno dei quali ha evidenziato tale connessione quando emerga la sussistenza di azioni vessatorie, pur in assenza di continuità, che determinino una situazione di stress lavorativo in grado di causare gravi disturbi psico-somatici, psicofisici o psichici[7].

Particolarmente interessante è, in argomento, il modello di Kasl, come riportato da taluni studiosi della materia[8], che nella elencazione dei fattori di stress da lavoro, con riferimento ai rapporti interpersonali di gruppo e con i superiori, individua anche le molestie che, come già precisato, si sostanziano nel fenomeno mobbizzante.

Tuttavia, non manca qualche posizione contrapposta, che evidenzia la non connessione delle condotte vessatorie rispetto alla valutabilità dello stress da lavoro correlato. Secondo tale interpretazione[9], la valutazione del rischio mobbing “non costituisce un elemento oggettivamente valutabile, poiché essa è legata essenzialmente a comportamenti individuali estranei di regola alle relazioni interpersonali in azienda e di natura dolosa, comportamenti di boicottaggio rivolti ad una persona, collega di lavoro: trattasi quindi di fatti del tutto imprevedibili”.

Ginelli 64 2Tuttavia, siffatta interpretazione appare stridere con le disposizioni della Conferenza Generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, che con apposita Convenzione del 10 giugno 2019[10], all’art. 7 (rubricato come Protezione e Prevenzione) che determinano l’impegno per ciascun membro ad adottare leggi e regolamenti che definiscano e proibiscano la violenza e le molestie nel mondo del lavoro, inclusi violenza e molestie di genere. Tuttavia, il surrichiamato nesso causale deve essere provato, con consequenziale imputazione in capo al lavoratore dell’onus probandi, così come meglio chiarito dal pronunciamento della Suprema Corte[11] che ha ribadito l’inesistenza di una responsabilità oggettiva da parte del datore di lavoro, essendo a carico dell’altra parte contrattuale l’onere probatorio del danno subito, a causa di circostanze pregiudizievoli sul posto di lavoro. Solo in caso di accertamento delle situazioni pregiudizievoli in costanza di rapporto di lavoro, il datore di lavoro è chiamato a dimostrare l’adozione di tutte le misure e cautele atte ad impedire il verificarsi del danno o della malattia, che non sarebbero quindi imputabili all’inosservanza degli obblighi imposti dalla legge.

In conclusione, benché sia alquanto complesso ricercare e provare il nesso causale tra condotte mobbizzanti e stress da lavoro correlato, non si può escludere che comprovati comportamenti vessatori influiscano in maniera massiva sulla salubrità psicofisica del lavoratore a causa di omessa valutazione dei rischi potenziali, pur riconoscendo la componente soggettiva quale elemento determinante della lesività, ma non fino al punto di escludere la misurazione, in via preventiva, della stessa e la previsione di misure di prevenzione del danno. La negazione del suddetto assunto determinerebbe non solo un ingiustificato allargamento del campo di non punibilità, ma anche la carenza di valutazione dei rischi e delle connesse misure di prevenzione e protezione che sono cardini portanti della normativa prevenzionistica in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Quadrato Rosso

Note

[1] Definizione dell’Accademia della Crusca

[2] Cass. Civ. – sez. Lavoro – 28 novembre 2022 n. 34976

[3] Montuschi L. “Problemi di danno alla persona nel rapporto di lavoro” – RIDL, 1994;

[4] Avanzi F. “L’obbligo di sicurezza e l’azione risarcitoria ex art. 2087 c.c.: le prove della nocività dell’ambiente di lavoro”
Lavoro Diritti Europa del 22 giugno 2023

[5] Ibidem

[6] Nota Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 23692 del 18.11.2010

[7] Cass. 15 novembre 2022, n. 33639

[8] De Falco G., Messineo A, Vescuso S. in “Stress da lavoro e mobbing” – EPC Libri

[9] Prof. Bergamaschi A. “La valutazione del rischio mobbing”

[10] Convenzione ILO N. 2019/190 “Convenzione sulla eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro”

[11] Cass. 29 gennaio 2013, n. 2038

[*] Ispettore del Lavoro. Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.

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