Ormai nel linguaggio comune, e non solo, vengono chiamati i lavoratori della “gig economy”[1] o più semplicemente “rider”, coloro che prestano la loro attività lavorativa utilizzando piattaforme digitali e analoghi strumenti tecnologici per mettere a disposizione di un datore di lavoro il loro servizio nel tempo più breve possibile. In genere, si tratta di trasporto di generi alimentari[2] ed essi operano per lo più nel settore del food delivery.
Ma vediamo di conoscerli meglio, come si origina il loro rapporto di lavoro? In che modo lo svolgono, in piena autonomia o seguendo le direttive di un datore di lavoro? Come vengono retribuiti? E infine, che tutele ricevono a livello legislativo, previdenziale e assicurativo? E in caso di infortuni sul lavoro sono tutelati? Questi ed altri interrogativi sono questioni che invadono la mente del cittadino che li vede sfrecciare a bordo di velocipedi per le strade urbane, incuranti di tamponare un’automobile, o di sbattere a terra un anziano signore o, di provocare un incidente!
Negli ultimi tempi poi, si assiste al fenomeno dei rider accompagnati nei week end o nei giorni di festa dalla fidanzata o da un’amica, per rendere più piacevole la consegna. Allora la situazione si complica, non basta la tutela del rider ma anche della sua compagna in caso di infortunio durante il tragitto obbligato per la consegna del bene.
Bisogna partire dalla recente tendenza alla “de-standardizzazione” della disciplina lavoristica[3] volendo qui intendere quel fenomeno sempre più in evoluzione secondo cui il già discusso perimetro del lavoro dipendente abbandona lo statuto protettivo standard delle tutele riservate dal legislatore al lavoro subordinato, per avvicinarsi ad un nuovo diritto del lavoro nel quale predomina il ruolo regolativo attribuito alle parti del rapporto, anche a detrimento delle tradizionali fonti eteronome[4]. Chiaramente, il diritto del lavoro, non è terreno elettivo per l’autonomia individuale, essa, infatti, non è considerata il mezzo più adeguato a regolare un rapporto tra due parti che nasce ab origine “squilibrato”. Questo squilibrio si percepisce nella tradizionale asimmetria informativa che permea il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore parte debole.
Il tema della qualificazione giuridica del rapporto di lavoro dei rider se, cioè, sia da annoverare nelle due grandi categorie tradizionali dei rapporti di lavoro subordinato o autonomo, è dibattuto da anni in dottrina e in giurisprudenza e non sempre la soluzione è stata univoca. Il lavoro su piattaforma esula dallo schema tipico del contratto di lavoro, su base bilaterale, caratterizzato da diritti ed obblighi ripartiti tra le parti in virtù di un rapporto sinallagmatico genetico e funzionale, atteso il perdurare nel tempo di questa reciproca corrispettività nei diritti e negli obblighi delle parti. Potremmo parlare, quindi, di un contratto di lavoro atipico che coinvolge tre o più soggetti; invero, da una parte c’è l’utente operatore, inteso come soggetto che attraverso la piattaforma eroga un servizio, dall’altra il gestore che utilizza la piattaforma per creare occasioni di lavoro e l’utente fruitore, ovvero il soggetto che attraverso la piattaforma utilizza il servizio.
Prima facie, il rapporto di lavoro potrebbe presentare analogie con il lavoro autonomo, tuttavia non sempre si limita ad un rapporto tra utente finale e operatore che gestiscono un servizio in piena autonomia attraverso una piattaforma, capita spesso che l’attività del gestore non è solo quella di creare occasioni di lavoro attraverso le piattaforme digitali, ma è il gestore che detta condizioni, tempi e modalità della prestazione. In questi casi, il rapporto di lavoro che si instaura tra rider e gestore, se non può dirsi connotato da subordinazione tout court, si atteggia quanto meno ad una “collaborazione coordinata e continuativa”. Si pensi in quest’ottica alle piattaforme che offrono servizi di consegna e di trasporto, in tal caso, la piattaforma entra in scena quale mezzo con il quale è organizzata e gestita la prestazione.
Alla luce di quanto esposto, potrebbe inquadrarsi il rapporto di lavoro dei rider tra quelli “parasubordinati” di cui all’art. 5 del D. Lgs. 38/2000 rubricato appunto “Assicurazione dei lavoratori parasubordinati” ed in forza del richiamo operato all’art. 49, comma 2, lett. a), del decreto del Presidente della Repubblica 1986, n. 917[5], la tutela contro gli infortuni sul lavoro è prevista anche per i lavoratori parasubordinati che svolgano la loro attività in conformità a quelle previste dall’art. 1 del citato testo unico o, per l’esercizio delle proprie mansioni, si avvalgano, non in via occasionale, di veicolo a motore da essi personalmente condotto. Chiaramente la previsione normativa della tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali di questa categoria di lavoratori non è stata esente da tenaci tentativi di opposizione da parte di diversi gestori di piattaforme, che per ragioni evidentemente di carattere economico erano restii ad assoggettarsi agli obblighi assicurativi e contributivi. Del resto, da anni la questione relativa alla qualificazione giuridica dei rider è dibattuta e non sono mancati tentativi nonché pronunce giurisprudenziali[6], per una transizione di tale categoria di lavoratori verso lo schema del rapporto di lavoro subordinato. Invero, il legislatore con il d. lgs. n. 101 del 3 settembre 2019[7] è intervenuto a modificare il Jobs Act ampliando il campo di applicazione dell’art. 2, co. 1, d.lgs. 2015 n. 81 e ha inserito il capo V-bis per i rider autonomi. Ebbene, pur volendo inquadrare alcune categorie di lavoratori della gig economy nell’ambito del lavoro autonomo tout court, il legislatore ha chiaramente esteso l’obbligo assicurativo Inail ai lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano o con l’ausilio di velocipedi [8] o veicoli a motore di cui all’art. 47, comma 2, lett.a), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, attraverso piattaforme anche digitali” [9].
Orbene, la norma così come formulata, potrebbe far sorgere disparità di trattamento ed una frammentazione di tutele nell’ambito delle varie categorie di rider che, per le modalità di lavoro svolto rientrerebbero nella macro-aerea dei “lavoratori autonomi”, non retta da un principio di ragionevolezza. Infatti, se è vero che l’art. 47-septies del d.lgs. 81/2015 e s.m.i, estende la tutela INAIL propria dei lavoratori subordinati anche ai lavoratori autonomi, è da osservare che l’estensione riguarda, stando alla norma, solo una particolare categoria di lavoratori, in base alla specifica attività svolta e cioè “consegna di merci mediata da piattaforme digitali”. Ne discende che trattasi di una tutela assicurativa parziale che lascia un vuoto normativo per tutte le categorie dei rider lavoratori autonomi che svolgono attività in modo diverso. Si auspica, che in futuro il legislatore introduca un apposito regime di tutele previdenziali ed assicurative per tutti i rapporti di lavoro autonomo di fatto continuativi, indipendentemente dall’attività svolta. In conclusione, la previsione normativa, estende la tutela assicurativa dei rider, dal 1 febbraio 2020, ai lavoratori autonomi che svolgono la predetta attività di consegna anche secondo tipologie contrattuali di lavoro autonomo occasionale, posto che era già operante per i lavoratori dipendenti e i lavoratori parasubordinati che prestano la medesima attività.
La tutela assicurativa si estende anche per le categorie dei rider che rientrano nell’alveo del lavoro parasubordinato o autonomo[10] la cui attività sia espletata per la consegna di merci mediata da piattaforme digitali[11]. In caso di infortunio sul lavoro o di malattia professionale, l’impresa di delivery che utilizza la piattaforma anche digitale ha l’obbligo di effettuare le denunce, nei termini e nelle modalità previste dagli artt. 53 e 54 del decreto del Presidente della Repubblica 3/06/1965, n. 1124 e succ. mod.[12]. In caso di infortunio mortale o per il quale si prevede la morte, l’impresa deve segnalare l’evento all’Istituto Assicuratore entro 24 ore e con qualunque mezzo che consente di comprovarne l’invio, fermo restando comunque l’obbligo di inoltro della denuncia/comunicazione nei termini e con le modalità di legge. In caso di denuncia omessa, tardiva, inesatta oppure incompleta, è prevista l’applicazione di una sanzione amministrativa[13].
Anche nei casi di infortunio con prognosi di solo un giorno, escluso quello dell’evento, ai soli fini statistici, l’impresa , che utilizza la piattaforma, deve inviare la comunicazione dei dati dell’infortunio all’Inail. Ai fini degli adempimenti dell’impresa, uno specifico obbligo è posto a carico del lavoratore autonomo[14], il quale è obbligato a dare immediata notizia al committente che utilizza la piattaforma anche digitale di qualsiasi infortunio gli accada, anche se di lieve entità, o a denunciare la malattia professionale[15].
È da aggiungere che i lavoratori di cui all’art. 47-bis del decreto legislativo n. 81/2015 e s.m.i. sono assicurati per tutti gli eventi infortunistici avvenuti in occasione di lavoro, nonché per l’infortunio in itinere ai sensi dell’art. 13 d. lgs. 23 febbraio 2000 n. 38 e s.m.i. La piattaforma è inoltre tenuta ad assicurare il rispetto delle norme in materia di prevenzione e sicurezza sul lavoro di cui al d.lgs. 81/2008 e s.m.i., “sempre a propria cure e spese”[16].
Sul piano previdenziale, i rider nel corso degli anni hanno visto un graduale riconoscimento della tutela Inps che, ad oggi, rimane ancorata alla tipologia di contratto che il rider ha con la piattaforma. Nei rari casi nei quali il rapporto dei rider è inquadrato nell’ambito del lavoro subordinato, essi devono essere iscritti all’Inps e beneficiano delle stesse tutele previdenziali previste per i lavoratori subordinati[17]. Con ciò includendo contributi per pensione, malattia, maternità, e altre forme di tutela previste dal sistema previdenziale italiano.
Diversa è la situazione per la maggioranza dei rider, inquadrati per lo più nell’area del lavoro autonomo, il regime previdenziale, infatti, può variare. Ad esempio, per gli autonomi occasionali, i contributi occasionali non sono dovuti fino ad un reddito annuo lordo di 5.000 €; superata questa soglia, scatta l’obbligo contributivo della Gestione Separata Inps. Molti rider devono iscriversi in tale Gestione, in specie quelli classificati come autonomi o collaboratori coordinati e continuativi. Questa Gestione è stata creata per i lavoratori autonomi senza una cassa previdenziale dedicata. Le aliquote contributive variano ogni anno e sono generalmente più alte rispetto a quelle dei lavoratori subordinati. In tal caso, le piattaforme per cui il rider lavora, devono versare i contributi, ripartiti tra datore di lavoro (piattaforma)[18] e rider (lavoratore). Inoltre, per i rider iscritti alla Gestione Separata, è prevista una tutela economica in caso di malattia e infortunio, sebbene sia legata al tipo di contratto e al livello di contribuzione versata. Come per la tutela assicurativa, anche per quella previdenziale, con il d.lgs. 101/2019 convertito in legge 2019 n. 128, il legislatore ha cercato di rafforzare le tutele previdenziali per i rider e per quelli che lavorano tramite piattaforme digitali essi possono essere inquadrati come lavoratori subordinati o autonomi con una collaborazione continuativa, a seconda delle modalità della prestazione lavorativa.
Tuttavia, nonostante gli interventi normativi, molte piattaforme continuano a considerare i rider come autonomi, precludendo l’accesso alle tutele previste per i lavoratori subordinati. Conseguentemente, la mancanza di stabilità contrattuale e la variabilità del lavoro rendono la condizione dei rider spesso debole e tributaria dal contesto di riferimento. La situazione poi è ancora più delicata per chi opera con più piattaforme.
L’art. 47-quater rubricato “compensi”,
ha previsto che, in assenza di contratti collettivi nazionali[19] ad hoc che definiscano criteri per la determinazione dei compensi, la retribuzione dei lavoratori di cui al 1 comma dell’art. 47-bis
[20], fa riferimento al compenso minimo orario parametrato ai minimi tabellari stabiliti dai contratti collettivi nazionali di settori affini o equivalenti sottoscritti dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
Proprio per scongiurare l’eventualità di estendere la tutele legislative già esistenti sul lavoro subordinato anche a questa categoria di lavoratori, alcune associazioni datoriali di categoria come Assodelivery[21] hanno sottoscritto un contratto “pirata” con UGL rider stipulato il 15 settembre 2020[22] ai sensi dell’ art. 2, co. 2, del D. Lgs. 81/2015, proprio per introdurre un’ulteriore deroga alla presunzione di subordinazione che poteva nascere ai sensi dell’art. 2, comma 1, del D. Lgs. 81/2015. Si è trattato della sottoscrizione del primo contratto collettivo inteso a regolare il rapporto di lavoro dei ciclofattorini impegnati nella consegna di pasto a domicilio. La notizia della sottoscrizione del primo CCNL rider è stata da molti salutata con favore e diffusa anche dai media italiani[23]; altri commentatori hanno, invece, criticato duramente l’accordo, etichettandolo come “penalizzante” e “illegittimo” per i lavoratori poiché sottoscritto per sottrarre questi ultimi dalle tutele del lavoro subordinato; con ciò condividendo il punto di vista dei sindacati confederali CGIL, CISL e UIL[24].
In sostanza, il CCNL dell’AssoDelivery ribadisce la natura sostanzialmente autonoma dell’attività dei rider, privilegiando, dietro l’apparenza di un compenso minimo orario[25], un sistema retributivo parametrato alle sole consegne effettivamente portate a termine;[26] conformandosi al sistema preferito dalle piattaforme digitali.
La pratica di essere accompagnati durante le consegne da una persona non coinvolta direttamente nel lavoro, invalsa come prassi da alcuni anni, mette in risalto l’esistenza di lacune nella regolamentazione del lavoro nella gig economy.
Ebbene, se un rider, che opera già in un contesto lavorativo precario e poco tutelato, viene coinvolto in un incidente con una persona esterna al servizio di consegna, chi dovrebbe essere responsabile?
Come si è visto le normative vigenti non sembrano disciplinare questa situazione, ne discende un vuoto legale, difficilmente colmabile, che può risultare pericoloso sia per il rider che per l’accompagnatore. La questione principale riguarda la responsabilità e le tutele. A ben vedere, l’accompagnatore non ha alcun rapporto né con il commitente né con la piattaforma e la sua presenza a bordo dei velocipedi con il lavoratore è sconosciuta al committente. Pertanto, se a gran fatica il sistema giuridico italiano ha riconosciuto tutela assicurativa nel caso di infortunio, infortunio in itinere e di malattia professionale, non è dato ricavare una copertura assicurativa Inail per l’accompagnatore che, il più delle volte, spontaneamente si offre di accompagnare il rider. Ma al di là di questa tutela Inail, per il rider e il velocipide opera anche la copertura assicurativa per la responsabilità civile e potrebbe solo questa estendersi agli accompagnatori, ove prevista.
Certo, l’idea di rendere il lavoro “più piacevole” attraverso la presenza di un accompagnatore sia esso amico, amica o fidanzata, evidenzia un aspetto psicologico e sociale legato alla solitudine e allo stress di queste forme di impiego. Il fenomeno potrebbe essere un segnale che questa categoria di lavoratori necessita di un supporto non solo fisico ma anche emotivo e sociale, sottolineando l’urgenza di rivedere le condizioni di lavoro per renderle più umane.
Si auspica, in un futuro prossimo, un intervento del legislatore che affronti queste nuove dinamiche lavorative, garantendo la sicurezza di tutti gli individui coinvolti nel processo di consegna, siano essi lavoratori o semplici accompagnatori. Questo scenario riflette la complessità della gig economy e la necessità di aggiornare la legislazione vigente per affrontare le nuove sfide ma anche i nuovi rischi emergenti.
[1] È da intendersi come economia dei lavoretti, cioè un modello economico basato sul lavoro a chiamata, spesso occasionale e temporaneo, gestito per lo più a mezzo di piattaforme digitali.
[2] È da notare che la loro diffusione è stata incentivata dal lungo periodo forzato di lockdown dovuto alla pandemia e allo sviluppo senza precedenti della spinta verso la digitalizzazione in tutti i settori.
[3] Cfr. Perulli A., “La soggettivazione regolativa” nel diritto del lavoro, in DRI, 2019, 1, 111 ss.
[4] Per approfondimenti si v. Vincenti U., (2013) “Diritto senza identità” La crisi delle categorie giuridiche tradizionali, Editori Laterza.
[5] Testo Unico delle imposte sul reddito, sostituito ora dall’art. 50, primo comma, lett. c-bis). La tutela antinfortunistica è riconosciuta anche ai lavoratori “autonomi” che prestano attività coordinata e continuativa per uno o più committenti.
[6] V. Cass sent. n. 1663 del 24 gennaio 2020 e relativo commento di Carinci M.T., (2020), “I contratti in cui è dedotta una attività di lavoro alla luce di Cass. n. 1663/2020” in RIDL, 2020,I. Cfr. anche Trib. di Palermo sent. 24 novembre 2020 n. 3570 con commento di Cavallini G., (2020), “La libertà apparente del rider vs poteri datoriali della piattaforma: il Tribunale di Palermo riapre l’opzione subordinazione”, in Giustiziacivile.com.
[7] Convertito con modificazioni in l. 2 novembre 2019 n. 128, ha modificato il d. lgs. 15 giugno 2015. n. 81.
[8] Art. 50 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285.
[9] L’art. 47 bis del d.lg. 81/2015 e s.m.i, al co.2, stabilisce che si considerano piattaforme digitali “I programmi e le procedure informatiche utilizzati dal committente che, indipendentemente dal luogo di stabilimento, sono strumentali alle attività di consegna di beni, fissandone il compenso e determinando le modalità di esecuzione della prestazione”.
[10] A maggior ragione ciò vale per i rider inquadrati nell’area del lavoro subordinato.
[11] È in re ipsa, che se il rapporto ab origine o in seguito ad una statuizione giudiziaria è qualificato come subordinato si estendono tutte le tutele del rapporto di lavoro subordinato.
[12] Ai sensi dell’art. 53 del dpr 1965/1124 “il datore di lavoro è tenuto a denunciare all’istituto assicuratore gli infortuni da cui siano colpiti i dipendenti prestatori d’opera, e che siano prognosticati non guaribili entro tre giorni…”.
[13] Cfr. art. 53 del dpr 30 giugno 1965 n. 1124 e succ. mod.
[14] Cfr. l’ art. 47-septies del d.lgs. 81/2015 e s.m.i., che estende l’obbligo assicurativo ai lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna dei beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore di cui all’art. 47, co. 2, lett. A), del d.lgs. n. 285/’92, attraverso piattaforme anche digitali; v. anche art. 52 D.P.R. 112471965.
[15] La nota Inail 2020 sottolinea che il lavoratore autonomo deve fornire alla rispettiva impresa il numero identificativo del certificato medico di infortunio, la data del rilascio e i giorni di prognosi indicati nel certificato stesso. L’obbligo di denuncia di infortunio e di malattia professionale decorrono dalla data in cui sono stati comunicati gli estremi del certificato medico.
[16] In tal senso cfr. circ. INL n.38 del 19.11.2020.
[17] Sul punto cfr. Carinci M.T., op.cit..
[18] Sulla natura giuridica delle piattaforme e nel senso che le stesse possono essere considerate imprese si cfr. sent. Tribunale di palermo n. 3570/2020 con nota di G. Cavallini, op. cit..
[19] Il rinvio alla contrattazione collettiva apre una ulteriore serie di questioni concernenti sia l’individuazione delle associazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale abilitate a derogare alla disciplina di legge sia le finalità del contratto in deroga in sé considerato.
[20] Trattasi dei lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore di cui all’art.47, co. 2, lett. a), del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, attraverso piattaforme anche digitali.
[21] Trattasi di un’associazione che rappresenta l’industria italiana del food delivery, cui aderiscono le piattaforme multinazionali Deliveroo, Glovo, Just Eat, Social Food e Uber Eats. L’AssoDelivery ha da sempre osteggiato una politica tendente a disciplinare legislativamente il rapporto di lavoro dei rider, sia ad estendere ad essi le tutele del rapporto di lavoro subordinato, compresi i riposi, i compensi, stabilità del vincolo, favorendo, invece, una disciplina orientata sulla natura autonoma di tali rapporti di lavoro rispetto ai quali i compensi con il sistema del “cottimo” sembravano ben attagliarsi alla tipologia del lavoro.
[22] Cfr. Martelloni F., (2020), “CCNL Assodelivery – UGL: una buca sulla strada dei diritti dei rider” in QG, 20 ottobre 2020.
[23] V. Manneimer G. Lev., (2020), “Un punto di partenza. Il contratto collettivo dei riders è una buona notizia per l’Italia”, in https://www.linkiesta.it/2020/09/rider-glovo-contratto-collettivo-italia-news/; v. anche “Riders, arriva il primo contratto collettivo:10 euro l’ora e indennità per la pioggia, in ILSole24ore, 17 settembre 2020.
[24] Cfr. Veruggio M., Perché la Cgil dice no a questo contratto. Intervista a Tania Scacchetti, segreteria confederale CGIL, in https://www.glistatigenerali.com, 22 settembre 2020.
[25] Cfr. art.10, I cpv., del CCNL AssoDelivery.
[26] In tal senso v. artt. 10 e 11 del medesimo CCNL.
La Peccerella L., (2024), “Infortuni sul lavoro e malattie professionali”, seconda edizione, Pacini Editore.
Gravinese A., (2023), “La Ley Rider e il sistema di relazioni industriali spagnolo: i diritti sindacali digitali”, in Il Lavoro nel diritto, 5/023, Pacini Editore.
Fiorucci A., (2024), “La strada dei rider verso la subordinazione e la contrattazione in deroga”, in Il Lavoro nel diritto, 5/23, Pacini Editore.
Cavallini G., (2020), “Libertà apparente del rider vs. poteri datoriali della piattaforma: il Tribunale di palermo riapre l’opzione subordinazione”, in GC.com.
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Barbieri M., (2020), “Il luminoso futuro di un concetto antico: la subordinazione nella sentenza di Palermo sui riders”, in LL, 6, n. 2.
[*] Dottoranda di ricerca presso Università Mercatorum di Roma. Cultore della materia in Economia Aziendale presso Università Parthenope di Napoli. Ispettore del Lavoro presso ITL di Napoli. Le considerazioni contenute nel presente articolo sono frutto esclusivo del pensiero dell’autrice e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.
[**] Diplomato al Liceo Scientifico indirizzo Sportivo (LSS) del Convitto di Napoli - Studente presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Federico II di Napoli - Impegnato nel Servizio Civile Universale. Autore di pubblicazioni sulla Rivista on-line “il 10magazine”. Interessato, in particolare, al giornalismo sportivo.
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