Annno XII - n° 65

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Settembre/Ottobre 2024

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Annno XII - n° 65

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Commento all’ordinanza della Corte di Cassazione del 5 settembre 2024, n. 23850

L’esercizio del diritto di critica nell’ambiente di lavoro

I limiti scriminanti per il Responsabile dei Lavoratori per la Sicurezza


di Antonella Delle Donne [*]

Antonella Delle Donne 56

Il diritto di critica


Il diritto di critica, quale esercizio di un diritto, rientra tra le cause di giustificazione del reato che rendono lecito un fatto, altrimenti, costituente reato.

Il loro fondamento logico-giuridico risiede in un bilanciamento tra interessi: quello protetto dalla norma penale e quello che facoltizza l’esercizio del diritto. Il conflitto viene risolto attraverso un’analisi del fatto condotta in modo oggettivo.

In particolare, il diritto di critica è stato, tradizionalmente, affiancato dalla giurisprudenza a quello di cronaca con la conseguente applicabilità anche ad esso dei limiti della verità della notizia, della rilevanza per l’interesse pubblico e della continenza nell’esposizione dei fatti.

Successivamente sia la dottrina che la giurisprudenza ne hanno affermato la sostanziale autonomia definendo il diritto di critica quale “libertà di dissentire dalle opinioni espresse da altri, sottoponendo a vaglio censorio le altrui tesi, affermazioni o condotte” [1].

Il diritto di critica, dunque, permette di giudicare e disapprovare un comportamento altrui ritenendolo non conforme a determinati parametri.

I limiti cui il diritto di critica è sottoposto per essere considerato lecito sono due:

  1. rilevanza per il pubblico interesse: l’argomento deve assumere importanza a livello sociale essendo esclusi i meri attacchi personali.

  2. non offensività delle espressioni utilizzate: il linguaggio non deve essere violento né denigratorio.


In assenza dei summenzionati requisiti il diritto di critica non è esercitato in modo lecito, pertanto, non scrimina il fatto costituente reato che conserva la sua rilevanza penale.


Il fatto


Il fatto da cui origina l’ordinanza della Suprema Corte in commento prende le mosse dalle vicende che hanno visto coinvolto il dipendete di una società coordinatore nazionale Responsabile dei lavoratori per la sicurezza ai sensi dell’art. 50 D.Lgs n. 81/2008.

Costui su un portale di informazione on line e su un quotidiano aveva riportato dati relativi agli incidenti ai viaggiatori a causa di guasti alle porte nonché relativi alle morti per infortuni sul lavoro. Successivamente il periodo di riferimento dei suindicati dati era anche stato rettificato a causa di un equivoco del giornalista.

Questi i fatti alla base della sanzione disciplinare erogata dal datore di lavoro e corrispondente alla sospensione per dieci giorni dalle mansioni lavorative e dalla retribuzione.

Il Tribunale di Roma, adito in primo grado, respinge il ricorso proposto dal dipendente che chiede giustizia in secondo grado.

La Corte di Appello di Roma, riformando la sentenza del giudice di prime cure, ritiene sussistente la scriminante del diritto di critica in quanto le espressioni utilizzate rientrano pienamente nei limiti della continenza e della rilevanza per il pubblico interesse e sono riconducibili alla tipica “dialettica sindacale” perseguenti anche interessi collettivi di rilevanza costituzione in relazione agli artt. 2 e 39 della Carta Fondamentale.

La società propone ricorso in Cassazione avverso la suddetta decisione emessa in sede di appello con resistenza del lavoratore attraverso controricorso.


La decisione della Suprema Corte


Delle Donne 65 1Con il primo motivo di ricorso la società deduce la mancanza e l’illogicità della motivazione della sentenza del giudice di secondo grado per non aver rilevato la falsità delle dichiarazioni apparse sul portale on line relativamente alle vicende di alcuni dipendenti con conseguente lesività dell’immagine.

La Corte ritiene tale motivo non fondato in quanto le dichiarazioni sono pienamente rientranti nel diritto di critica così come strutturato nei rapporti di lavoro laddove può assumere toni più aspri propri della lotta sindacale. I giudici specificano che il sindacalista si pone su un piano di perfetta parità con il datore in quanto l’attività esercitata è scevra da qualsiasi vincolo di subordinazione essendo garantita direttamente dall’art. 39 Cost. e diretta alla tutela di interessi collettivi.

Il comportamento del lavoratore, in tale ambito, può essere sanzionato disciplinarmente solo in caso di critica disonorevole e denigratoria verso l’impresa o i dirigenti.

Con il secondo motivo di ricorso la società fa valere la violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale. Il motivo è ritenuto dalla Corte inammissibile per sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei ed in quanto la censura di una sentenza non può mai risolversi in mera critica dell’interpretazione giudiziaria.

Con il terzo motivo si contesta la sentenza di appello nella parte in cui non rileva il travalicamento dei limiti propri del ruolo e delle attribuzioni del responsabile della sicurezza la cui condotta ha assunto, in tal modo, valore politico.

Anche tale argomento è disatteso. La Corte spiega che la manifestazione di solidarietà verso altri lavoratori rientra proprio nei compiti del sindacalista, quindi, a pieno titolo nel diritto di critica sindacale. In tale contesto l’espressione continente delle proprie opinioni e della propria interpretazione dei fatti sono elementi costitutivi del diritto di critica e manifestazioni della libertà di pensiero garantita dalla Costituzione.


Conclusioni


L’ordinanza in esame risulta degna di nota in quanto chiarisce puntualmente quali sono i limiti all’esercizio del diritto di critica in ambito lavorativo.

Per le peculiarità del contesto esso, infatti, assume connotati particolari.

Se è vero che i limiti della continenza e della rilevanza per il pubblico interesse devono, in ogni caso, essere rispettati, essi assumono maggiore elasticità in quanto l’attività sindacale tende alla tutela di interessi collettivi che trovano il proprio fondamento direttamente nella Costituzione.

Nel dialogo tra sindacalista e datore l’utilizzo di espressioni più aspre e pungenti è ritenuto, dall’ordinanza in esame, lecito sempre che non sfoci in semplice occasione di denigrazione e diffamazione dell’azienda o dei dirigenti.

In tale contesto sono ritenute scriminanti anche le dichiarazioni di solidarietà verso gli altri lavoratori costituendo il fulcro dell’attività sindacale.

L’attività svolta dal responsabile per la sicurezza assume, dunque, un ruolo fondamentale per l’attuazione del disposto dell’art. 50 D.Lgs 81/2008 e dei principi di solidarietà sociale sanciti dagli artt. 2 e 39 Cost. Quadrato Rosso

Note

[1] Roberto Garofoli, Compendio Superiore di Diritto Penale- Parte Generale, Nel Diritto Editore, 2014.

[*] In servizio presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, DG Politiche Previdenziali e Assicurative, Divisione I. Le considerazioni contenute nel presente articolo sono frutto esclusivo del pensiero dell’autrice e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.

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