Lo scorso luglio, intervenendo al convegno “Intelligenza Artificiale Amministrativa. Principi e regole per l’esercizio delle funzioni pubbliche”, il presidente dell'INPS, Gabriele Fava, ha evidenziato un dato che ha colpito diversi osservatori: dal 2022 l'Istituto di previdenza utilizza l'Intelligenza Artificiale e il ricorso a questa strumentazione avrebbe consentito di raggiungere quasi due milioni di cittadini.
Una notizia che ha catturato l'attenzione dei media, sorpresi dal fatto che una Pubblica Amministrazione possa sperimentare in autonomia codici, modelli o linguaggi innovativi.
Ora, la decisione di INPS di aprirsi al confronto non testimonia soltanto gli apprezzabili sforzi informatici compiuti dall’ente, ma la volontà di superare il discorso stanco sulla mera digitalizzazione dei servizi, un percorso che avrebbe dovuto essere completato in tutta la PA entro la prima decade degli anni Duemila e che ancora, invece, in alcune realtà sembra costituire il core business dell’azione strategica o, peggio, un obiettivo di medio periodo.
Se tutto questo è vero, bisogna però capire quanto la linea adottata dall’Istituto sia foriera di risultati migliorativi per l’utenza e come essa impatta sulla stessa mission istituzionale.
Prima di analizzare gli aspetti più delicati relativi all’uso dell’IA è necessario capire come si è mossa INPS.
Fava, nel confronto pubblico, ha fatto riferimento a un applicativo: il Consulente digitale delle pensioni. Si tratta di un servizio tenuto a battesimo due anni addietro con un obiettivo dichiarato, quello di sfruttare il potenziale dell'IA per intercettare i diritti inespressi.
Per ottenere una prestazione da INPS, tradizionalmente gli utenti devono trasmettere una domanda: questa viene processata dalla sede e, una volta che l’istanza è stata definita (accertato il diritto del richiedente), si provvede all'erogazione. Tale meccanismo ha un limite: esiste una platea di cittadini che non è cosciente dei diritti garantiti dal Legislatore e, di conseguenza, non presentando alcuna domanda, non ottiene benefici.
Per affrontare questo tasso di dispersione si può procedere con grandi campagne informative, ma il dispendio di risorse economiche non azzera la possibilità che permangano zone grigie in cui lo Stato non riesce ad arrivare a chi è in difficoltà.
Da qui l'idea di creare una procedura diversa: il Consulente digitale che, attraverso algoritmi specifici, estrae i possibili titolari di diritti inespressi tramite datalake; quindi individua la platea potenziale che può ricorrere a un percorso guidato, atto a verificare l’idoneità alla prestazione.
Si pensi, a titolo di esempio, al riconoscimento della quattordicesima sulla pensione: in base alle informazioni disponibili, ciascun utente profilato dall’Istituto come possibile beneficiario viene invitato a controllare in autonomia la propria situazione.
È chiaro che una simile prospettiva riporta a un ruolo proattivo della PA, che coincide con l’interesse della cittadinanza: non ci può essere quindi alcun timore nel definire il processo un risultato importante.
Altri esempi di ricorso all’IA si avranno con ogni probabilità sul fronte dell’invalidità civile o degli ammortizzatori sociali: nel primo caso, INPS potrebbe ricorrere ad algoritmi e machine learning per introdurre logiche di prioritizzazione delle visite mediche; nel secondo caso potrebbe vagliare nuove funzionalità d’analisi in merito alle autorizzazioni per disporre l’accesso alla cassa integrazione.
Se ci soffermassimo ad un’analisi superficiale, dovremmo concludere che l'ausilio dell'IA è positivo e quindi via alla danza delle innovazioni.
In realtà le problematiche in controluce ci sono, anche perché il sistema ruota attorno all'unico elemento di ricchezza sicuro nell'immediato futuro: il dato personale dell’utente, fulcro di una nuova economia.
Il possesso delle banche dati non è solo al centro di un processo di revisione proprio della PA, basato sul principio di condivisione declinato tramite interoperabilità; è elemento conteso dalle grandi multinazionali, pronte ad aiutare l’attore pubblico per poi lucrare nel cono d’ombra. Timeo Danaos et dona ferentes.
Sulla scorta delle raccomandazioni comunitarie, INPS ha provato a costruire una cornice operativa entro cui definire il proprio approccio. È stata così approvata la Direttiva n. 8 dell'8.4.2024, con cui vengono formalizzate le Linee guida sull'implementazione dei sistemi di IA in INPS.
La logica è quella ormai consueta, orientare l'azione alla centralità dell'utente. L'Istituto punta ad “Abilitare un futuro in cui l'IA migliori sostanzialmente la vita dei cittadini, ottimizzando i servizi per renderli più efficienti, accessibili e personalizzati. Ci impegniamo a sfruttare responsabilmente le tecnologie IA per massimizzare il valore per l'utente, abbattendo diseconomie e inefficienze, e assicurando che ogni iniziativa sia guidata da valori di responsabilità, inclusività, miglioramento continuo, rispetto, concretezza e ascolto”.
Fuori dal registro un po’ retorico – l’idea slitta in una enunciazione di principio fin troppo solenne – in questa dichiarazione d’intenti c’è tutto e il suo contrario: c’è la volontà di raggiungere l’utenza; c’è la prospettiva di un’amministrazione che insegue l’orizzonte dell’efficienza; c’è, purtroppo, anche un richiamo molto generico a un uso responsabile delle tecnologie, privo di contenuto.
Agli obiettivi strategici è dedicata un'apposita sezione del documento, ma l’impressione generale è che INPS stia normalizzando un processo in realtà complesso. L'impatto del cambiamento, viepiù se l'adozione di questi strumenti segue il processo generativo, e quindi consta di strumenti potenzialmente in grado di migliorare sé stessi, travalica i confini dell'ordinarietà e proietta l'INPS di fronte a una sfida molto più articolata.
Come INPS intende tutelare il proprio patrimonio dati? Non è una questione di mera sicurezza IT, quale è trattata nelle occasioni di confronto. Il tema ha una portata ampia, perché se la strategia della PA è spingere il cittadino a fornire sempre più informazioni su di sé, la semplice costituzione di un database contenente una mole informativa senza precedenti pone temi etici non di poco conto per l’assetto di una democrazia, che la sola funzionalità del servizio non può eludere. Considerando l’ampiezza della platea di riferimento, praticamente ogni cittadino italiano, e la peculiarità dell’Istituto di essere presente in ogni aspetto della vita – dalla culla (coi bonus per la natalità) alla tomba (con la reversibilità) – è evidente il rischio di avere un Moloch istituzionale. Volendo lanciare una provocazione, se questa è la piega oltre ad avere un magistrato della Corte dei Conti delegato al controllo degli atti, bisognerà rivedere l’assetto degli Organi e prevedere anche l’istituzione di un delegato dell’Autorità Garante per la Privacy, con mansioni e attribuzioni di gran lunga superiori a quelle attualmente attribuite al DPO.
C’è, poi, un altro nodo non meno d’impatto: come INPS struttura, nella prospettiva di ascolto e di accessibilità rivendicata, il rapporto col territorio all’alba di un processo di smaterializzazione e di automazione sempre più forte?
Sembrano questioni distanti, ma se non vengono affrontate per tempo in una prospettiva di lucida coerenza, il rischio concreto è di diventare spettatori di un processo ineluttabile e ingestibile, considerata anche la differenza di passo tra gli avanzamenti tecnologici e la nostra capacità di metabolizzazione.
Gli attori privati risolvono il conflitto alla radice: se il servizio è gratis, il bene sei tu. L’attore pubblico non può partire da una simile impostazione e deve quindi pre-determinare ciò che non è datificabile, deve accettare la sfida di chi disassembla e riassembla la realtà, ma definendo la mediazione umana rispetto all’ambiente circostante e prevenendo i potenziali rischi.
L’INPS è un ente che fa della prossimità territoriale la sua principale ricchezza. Non c’è dichiarazione pubblica in cui i vertici dell’Istituto non ribadiscono quanto questa presenza renda INPS un unicum nel panorama europeo. Di più: il bacino di competenze garantito dal personale in servizio viene considerato insostituibile. Sono forse riconoscimenti formali, ma la reiterazione degli stessi trasfigura la forma in sostanza.
Ora, prossimità vuol dire cura delle comunità in cui l’Istituto opera: non a caso mentre INPS ricorreva alle prime forma di IA, parallelamente, nelle strade delle grandi metropoli, partivano progetti “fisici”, che ribadivano l’ancoraggio territoriale dell’Istituto. È il caso di “INPS per tutti”, codificazione del desiderio di andare incontro ai soggetti più fragili abituandoli a interagire con l’ente, ad affidarsi alla sensibilità umana.
E qui c’è il grande non detto: è proprio la componente umana quella che rischia di essere travolta dal nuovo corso.
Il principio di automazione, la volontà di valorizzare l’infrastruttura informatica, non può portare a uno snaturamento del lavoro pubblico. Sbaglia chi vede nella tecnologia uno strumento per alleggerire ulteriormente il peso delle singole amministrazioni, per fare cioè economie di scala.
Anche qui il ragionamento sembra ancora agli albori. Nell’ultima sezione della citata determina, INPS mette sì al centro le persone che compongono la propria comunità (gli “utenti interni”) ma lo fa sempre in un’ottica produttivistica, meccanicistica.
“La transizione verso soluzioni di IA richiede (…) competenze specializzate e un impegno costante verso la crescita professionale dei dipendenti” recita il testo. Si propone così di implementare un programma di formazione continua focalizzato sull’acquisizione di competenze avanzate in data science e AI engineering; si programma una campagna per integrare nelle risorse umane unità preposte agli stessi compiti, magari in collaborazione con professionisti esperti (altri attori privati che agiscono in cabina di regia); si chiude il giro ventilando partnership con enti accademici e aziende leader per lo scambio di conoscenze e competenze.
Un processo siffatto detta i tempi del cambiamento in maniera verticale. Ma ciò che non traspare dai dati è la ricerca di cura e tutela che la cittadinanza chiede all’Istituto.
L'analisi "Economia del paese e vita degli italiani", curata dalla Fondazione Di Vittorio e da Osservatorio Futura, fornisce spunti interessanti. Su 6000 interviste, il 74% del campione non ritiene di essere in grado di avere una pratica digitale da una PA. Tra chi ha avuto rapporti con INPS, solo il 16% dichiara di essere riuscito a ottenere facilmente ciò che voleva.
Nel servizio di consulenza, nel suo miglioramento e nella sua riqualificazione, sta il fulcro della specialità dell’Istituto.
Se il processo di automazione scinde la componente del lavoro in produzione e assistenza, lo spacchettamento depaupera quella stessa ricchezza che l’ente a oggi rivendica. Con un elemento distorsivo in più: il rischio è che l’adozione di nuovi applicativi, diventando elemento di sostituzione delle risorse, porti ad arretrare il perimetro d’azione dell’Istituto laddove arranca: cioè dai territori più periferici, gli stessi che hanno poca dimestichezza all’utilizzo delle nuove tecnologie (vuoi per l’invecchiamento della popolazione, per un problema di alfabetizzazione digitale, per criticità logistiche legate financo alla copertura della rete).
Ma non sono solo i piccoli centri a essere colpiti: anche le aree più ricche nel Nord del paese, dove il costo della vita è maggiore, rischiano di trasformarsi in gusci vuoti per la PA, abbandonate in ragione di uno spostamento delle lavorazioni, con tutto ciò che ne consegue in termini di qualità del servizio.
L'impressione è che INPS stia provando e con merito a fare qualcosa di nuovo, ma per evitare di rispondere alla sfida come un compito da assolvere c’è bisogno di ampliare gli spazi di confronto, in primo luogo col mondo del lavoro.
C'è un'ambizione (fare parte del cambiamento), una visione (il miglioramento dei servizi), ma non sono stati messi a fuoco i limiti di una strategia che rischia di travolgere gli attuali equilibri.
Chiudo questo excursus con una citazione d’annata di Barack Obama. È una frase che dovrebbe essere scolpita nella pietra, anche per i sindacati che si apprestano a confrontarsi con questi temi e che hanno il compito di esercitare un’azione di stimolo: “non siamo venuti qui per temere il futuro. Siamo venuti qui per crearlo”.
[*] Funzionario INPS - Coordinatore nazionale FP CGIL INPS. Le considerazioni contenute nel presente scritto sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.
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