Il personale ispettivo dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha, tra gli altri, il compito fondamentale «di vigilare sull'esecuzione di tutte le leggi in materia di livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, di tutela dei rapporti di lavoro e di legislazione sociale ovunque sia prestata attività di lavoro a prescindere dallo schema contrattuale, tipico o atipico, di volta in volta utilizzato»[1].
L’obiettivo della funzione di vigilanza dell’INL, dunque, è un livellamento verso l’alto dei LEP giuslavoristici, volto a garantirne su tutto il territorio nazionale uno standard di tutela adeguato ai precetti costituzionali. Si tratta di un’attribuzione esclusiva dell’INL che ne denota, per così dire, il core business[2].
La legislazione inderogabile che tutela la dignità del lavoro, difatti, attua precetti costituzionali (cfr. articoli 1, 4, 35 e 36 della Costituzione) e garantisce l’effettività (tendenziale) dell’elemento ‘costitutivo’ della Repubblica democratica che è, per l’appunto, “fondata sul lavoro”.
La legislazione del lavoro e sociale sui diritti fondamentali dei lavoratori (alla salute e sicurezza sul lavoro; al divieto di sfruttamento e lavoro nero e grigio; all'accesso agli ammortizzatori sociali; alla protezione contro discriminazioni e licenziamenti; alle tutele in caso di disoccupazione o infortunio; ecc. ecc.), quindi, concretizza nel suo insieme un “livello essenziale di prestazione”.
Sotto questo punto di vista, da un canto, la vigilanza ispettiva verifica che questo LEP sia effettivamente attuato e, dall’altro, costituisce essa stessa un ulteriore “livello essenziale di prestazione”.
La funzione di vigilanza ispettiva, in sostanza, è un LEP giuslavoristico che garantisce l’effettività degli altri LEP giuslavoristici[3].
Se la vigilanza è ‘il cosa’ fa l’INL, l’ispezione del lavoro è ‘il come’ lo fa.
La funzione di vigilanza, quindi, si estrinseca attraverso quel particolare strumento pubblicistico che è il procedimento ispettivo, declinato nella versione giuslavoristica e orientato alla tutela dei livelli essenziali delle prestazioni che attengono o sono correlate a un rapporto di lavoro.
L’ispezione del lavoro, quale particolare procedimento ispettivo, conduce a un esito di accertamento, ma quest’esito può confluire in provvedimenti di diversa efficacia e differenti per natura, uno dei quali è la diffida accertativa.
La vigilanza è una pubblica funzione amministrativa ed è disciplinata da norme di diritto pubblico che attribuiscono al personale ispettivo – che è il solo personale dell’INL destinato all’esercizio di questa specifica funzione – particolari poteri e specifiche prerogative.
Si tratta di poteri e prerogative dirette a verificare il rispetto delle limitazioni imposte dalle fonti normative o dalla contrattazione collettiva alla libertà dei datori di lavoro.
In quest’ottica, la vigilanza è una funzione di polizia amministrativa.
E difatti «gli ispettori hanno facoltà di visitare in ogni parte, a qualunque ora, del giorno ed anche della notte, i laboratori, gli opifici, i cantieri, ed i lavori, in quanto siano sottoposti alla loro vigilanza, nonché i dormitori e refettori annessi agli stabilimenti» (così l’articolo 8 del d.P.R. n. 520/1955).
E sempre agli ispettori è conferito il potere «di assumere dai datori di lavoro, dai lavoratori, dalle rispettive rappresentanze sindacali e dagli istituti di patronato, dichiarazioni e notizie attinenti alla sussistenza di rapporti di lavoro, alle retribuzioni, agli adempimenti contributivi e assicurativi e alla erogazione delle prestazioni» (articolo 3 del D.l. n. 463/1983, conv. l. n. 638/1983).
Il potere di assumere informazioni rilevanti per l’esercizio della funzione di vigilanza, peraltro, è generalizzato in termini tali che «coloro che, legalmente richiesti dall'Ispettorato di fornire notizie a norma del presente articolo, non le forniscano o le diano scientemente errate ed incomplete, sono puniti con l'arresto fino a due mesi o con l'ammenda fino a lire un milione» (così l’articolo 4, comma 7, della l. n. 628/1961).
Si tratta, evidentemente, di poteri di carattere autoritativo, attraverso il cui esercizio si forma e si manifesta la volontà della pubblica amministrazione relativamente ai compiti di controllo che le sono assegnati.
Non solo: «il personale ispettivo di cui al comma 1, nei limiti del servizio cui è destinato e secondo le attribuzioni conferite dalla normativa vigente, opera anche in qualità di ufficiale di Polizia giudiziaria» (così l’articolo 6 del D.lgs. n. 124/2004). E ciò è inevitabile, proprio perché parte della normativa su cui l’INL vigila è di carattere penale ed è costituita prevede da fattispecie di reato.
Gli Ispettori del lavoro, dunque, sono pubblici ufficiali, ai sensi dell’articolo 357 c.p., ed esercitano compiti di polizia amministrativa e di polizia giudiziaria.
È principio essenziale del diritto del lavoro che la concreta modalità di atteggiarsi del rapporto prevalga sulla rappresentazione formale che ne danno i documenti datoriali e prevalga, finanche, sulla volontà dei contraenti per come manifestata al momento della stipulazione del contratto.
L’articolo 13 del d.lgs. n. 124/2004 prevede che «Il personale ispettivo accede presso i luoghi di lavoro […] [e compie] […] attività di verifica».
Le attività di verifica si individuano in ragione delle finalità della vigilanza.
La vigilanza in materia di lavoro è un’attività della pubblica amministrazione diretta a far osservare le limitazioni imposte dalle norme a quella particolare attività dei privati che è la gestione dei rapporti di lavoro.
Le attività di verifica, dunque, si estrinsecano mediante l’esercizio di poteri che consentono di accertare che il concreto atteggiarsi del rapporto di lavoro sia conforme alle norme inderogabili di legge e di contratto collettivo.
L’Ispettore del lavoro, pertanto, guarda essenzialmente ai ‘fatti’ per essere certo che i ‘documenti’ ne diano una rappresentazione fedele.
E per guardare ai ‘fatti’ può (o meglio: deve) esercitare i poteri e le prerogative indicate nel precedente paragrafo, ossia visitare i luoghi di lavoro (si veda retro l’articolo 8 cit.); assumere dichiarazioni e notizie attinenti alla sussistenza e al modo di svolgersi dei rapporti di lavoro (si vede retro l’articolo 3 cit.); «assumere informazioni e procedere a ispezioni di cose e di luoghi diversi dalla privata dimora, a rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ad ogni altra operazione tecnica» (così l’articolo 13 della l. n. 689/1981).
Si tratta di poteri e prerogative correlate alla funzione esercitata dal personale ispettivo, le cui consequenziali responsabilità, proprio in quanto strettamente connesse alle funzioni di vigilanza, sono attribuite in via esclusiva agli Ispettori[4].
Ciò implica che ai titolari di posizioni organizzative – responsabili di Processo e responsabili di Team che, peraltro, non sono in rapporto di gerarchia con il personale ispettivo – è inibito di sovrapporre le proprie valutazioni a quella dell’Ispettore titolare del fascicolo[5].
E finanche il Direttore di sede – egli, sì, in rapporto di gerarchia con il personale ispettivo – ha le limitate facoltà di avocare la pratica (laddove ve ne siano i presupposti di legge) oppure disporre un ordine di servizio scritto[6], finalizzato a garantire la giusta omogeneità di comportamenti e decisioni per il solo caso in cui vi siano divergenze di valutazione tra diversi Ispettori, a parità di fattispecie concrete loro assegnate.
È di tutta evidenza che, in questi ultimi casi, l’esercizio del potere di avocazione o l’emanazione di un ordine scritto determinano la conseguente assunzione di responsabilità in capo al Direttore di sede; secondo la regola, implicita nei sistemi giuridici democratici, per cui chi esercita un potere se ne assume le responsabilità che ne derivano.
La diffida accertativa è disciplinata dall’articolo 12 del d.lgs. n. 124/2004 che è frutto della legge (delega) n. 30/2003; quest’ultima indica quale principio e criterio direttivo “improntare il sistema delle ispezioni alla prevenzione e promozione dell'osservanza della disciplina degli obblighi previdenziali, del rapporto di lavoro, del trattamento economico e normativo minimo e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale […]”.
La disciplina della diffida accertativa, dunque, “si giustifica, secondo le intenzioni espresse nella delega dalla legge n. 30/2003, con la necessità di creare un collegamento più stretto tra l’attività di vigilanza e la soddisfazione dei diritti dei lavoratori, con il non celato scopo di deflazionare il carico dei Tribunali e, di converso, promuovere forme conciliative di risoluzione dei conflitti individuali di lavoro”[7].
L’oggetto della diffida – ossia un credito da lavoro –, quindi, nelle intenzioni del legislatore delegante e negli esiti del legislatore delegato non rileva ai fini della natura del procedimento attraverso il quale è assunta la diffida né della funzione di cui la diffida è espressione.
Non rileva neppure che la diffida sia destinata a diventare un titolo esecutivo. ‘Titolo esecutivo’, difatti, è quel particolare attributo che la legge conferisce ad alcuni atti, in ragione del quale, in virtù di questi atti, può avere luogo l’esecuzione forzata.
A dispetto di questo preciso quadro giuridico, però, ancora oggi, nelle prassi operative di alcuni uffici riecheggia un’interpretazione fortemente restrittiva che attribuisce un significato improprio alla definizione contenuta nell’articolo 474 c.p.c. per cui “l’esecuzione forzata non può avere luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile”.
Questa interpretazione ritiene che la ‘certezza’ sia un requisito preesistente all’ispezione e che, di conseguenza, l’ispettore debba accertare (paradossalmente) la ‘certezza (preesistente) del credito’.
La certezza, però, è una qualità del dato: se il dato è il credito che un lavoratore vanta, la certezza è l’esito di un giudizio espresso sull’esistenza del credito.
La certezza, peraltro, non equivale a irretrattabilità. Tutti i titoli esecutivi hanno, nell’ottica del legislatore, un ragionevole grado di certezza, sebbene possano essere suscettibili di impugnazione giudiziale.
L’interpretazione restrittiva di cui s’è detto, a veder bene, indica la luna (il requisito della certezza) ma intende il dito. È il dito punta a svilire i poteri istruttori dell’ispettore del lavoro e a ridurre drasticamente l’area di intervento della vigilanza.
È di tutta evidenza, difatti, che chi sostiene che la certezza del dato deve preesistere intende sostenere che deve preesistere la fonte di prova su cui si esprime il giudizio dell’organo accertatore. E, dunque, intende sostenere che la diffida accertativa deve basarsi su prove documentali.
Se ragioniamo in questi termini, però, ne dobbiamo inferire o che il giudizio sulla certezza, tale da soddisfare l’articolo 474, è già espresso da un’altra autorità (o dal legislatore stesso) e allora all’ispezione non preesiste la certezza ma preesiste il titolo esecutivo. Oppure la certezza consegue alla valutazione dell’ispettore che non ‘accerta la certezza’ ma rende certo il dato.
Ma se è l’ispettore che rende certo il dato, allora, il suo giudizio deve esprimersi considerando tutte le fonti di prova confluite nell’accertamento ispettivo: incluse le “fondamentali audizioni di soggetti (terzi e ispezionati)”[8] e finanche il ragionamento presuntivo[9].
Nel nostro ordinamento giuridico, difatti, non esiste alcuna gerarchia delle fonti di prova e nessuna prova che prevalga di diritto sulle altre[10].
Questa conclusione è inevitabile perché la diffida accertativa è solo uno dei possibili esiti del procedimento ispettivo e, di conseguenza, è solo uno dei possibili atti che costituiscono attuazione della funzione di vigilanza.
Se la funzione di vigilanza è una funzione pubblica e se l’ispezione del lavoro è il procedimento amministrativo con cui si esterna questa funzione pubblica, allora la diffida è naturalmente un atto amministrativo.
Ed è un atto amministrativo che sorge dal procedimento ispettivo e che consiste in un “accertamento tecnico” alla stessa stregua dei verbali unici di accertamento e notificazione e dei verbali di accertamento dell’obbligazione contributiva[11].
Quale atto amministrativo, la diffida costituisce l’esito di quel particolare procedimento amministrativo nel corso del quale l’ispettore esercita tutti i poteri istruttori connessi agli obiettivi di polizia amministrativa, finalizzati a garantire la tutela dei livelli minimi delle prestazioni lavoristiche.
E ciò implica che “la preventiva certezza del credito non costituisca affatto una ‘condicio sine qua non’ del provvedimento ispettivo ma invece l’obiettivo cui deve tendere l’accertamento stesso”[12].
Difatti, “quando un diritto sia accertato dall’organo di vigilanza, con un accertamento di tipo tecnico, ad esso vuol dire che la legge attribuisce quel particolare grado di certezza necessaria a fargli spiegare efficacia di titoli esecutivo”[13].
[1] Così nell’articolo 7 del D.lgs. n. 124/2004, rubricato “Vigilanza”, che prevede anche i compiti di «b) vigilare sulla corretta applicazione dei contratti e accordi collettivi di lavoro; c) fornire tutti i chiarimenti che vengano richiesti intorno alle leggi sulla cui applicazione esso deve vigilare, anche ai sensi dell'articolo 8; d) vigilare sul funzionamento delle attività previdenziali e assistenziali a favore dei prestatori d'opera compiute dalle associazioni professionali, da altri enti pubblici e da privati, escluse le istituzioni esercitate direttamente dallo Stato, dalle province e dai comuni per il personale da essi dipendente; e) effettuare inchieste, indagini e rilevazioni, su richiesta del Ministero del lavoro e delle politiche sociali; f) compiere le funzioni che a esso vengono demandate da disposizioni legislative o regolamentari o delegate dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali».
[2] In senso stretto, i LEP nel settore giuslavoristico sono identificati con le materie della politica attiva del lavoro e dei servizi per l’impiego e il collocamento (si veda il recente rapporto del COMITATO TECNICO SCIENTIFICO CON FUNZIONI ISTRUTTORIE PER L’INDIVIDUAZIONE DEI LIVELLI ESSENZIALI DELLE PRESTAZIONI) reperibile sul sito del Dipartimento per gli Affare Regionali e le autonomie). I diritti civili e sociali dei lavoratori, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, dunque, sarebbero resi effettivi per il tramite di prestazioni di servizio rese dalla pubblica amministrazione. Si consideri, però, quanto sostenuto nel testo e nella nota seguente.
[3] Ad avviso di chi scrive, depone in questo senso il seguente passaggio tratto dalla sentenza n. 384/2005 della Corte costituzionale: “Le funzioni ispettive […] si concretizzano nella vigilanza sul rispetto, da parte del datore di lavoro, della normativa previdenziale e civilistica, che è dettata, con carattere per lo più inderogabile, a tutela del lavoratore. Ne deriva l’attinenza di tali funzioni alle materie di cui all’art. 117, secondo comma, lettere l) e o), Cost., nonché, con riguardo all’esigenza unitaria implicita nelle finalità anzidette, alla lettera m) dello stesso comma.”; la lettera m) prevede che lo Stato abbia legislazione esclusiva per la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. D’altronde, nel suddetto giudizio costituzionale, l’Avvocatura di Stato ha sostenuto che “la posizione sociale del lavoratore, per quanto concerne gli aspetti normativi, retributivi e previdenziali, riferibile agli artt. 4, 36, 37 e 38 Cost., dovrebbe ritenersi rientrante nella competenza legislativa esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, secondo comma, Cost., sotto il profilo dell’ordinamento civile (lettera l), della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (lettera m), o della previdenza sociale (lettera o).”
[4] In questi termini, il Regolamento sulle posizioni organizzative dell’INL.
[5] Così pacificamente una volta superato il sistema della cd. procedimentalizzazione del servizio ispettivo (cfr. le linee guida di cui alla circ. n. 8716/2009, poi superate a partire dalla circ. INL n. 2/2017.
[6] Sul punto, considerando le specificità dell’Ispezione sul lavoro, vado di contrario avviso rispetto a quanto sostenuto da Vito Tenore, in Studio sull’ispezione amministrativa e il suo procedimento, Giuffré, 2020, p.155; il quale ritiene (ragionando sul procedimento ispettivo in generale) “condivisibile quell’indirizzo che ritiene che eventuali ordini del superiore gerarchico (es. capo del servizio ispettivo) rivolti al responsabile del procedimento proprio subordinato (es. ispettore procedente) durante gli accertamenti istruttori abbiano la valenza giuridica non già di ordini, ma di meri consigli, non vincolanti e disattendibili”.
[7] Così la Circolare MLPS n. 1/2013.
[8] Così le definisce Vito Tenore in Studio sull’ispezione cit.
[9] Cfr. Consiglio di Stato, Sen. n. 3570/2022.
[10] Fatti salvi i limitati casi di cd. prove legali, quali le dichiarazioni confessorie, le dichiarazioni giurate; e, per alcuni profili, alcune scritture documentali considerate fidefacenti.
[11] La diffida accertativa, peraltro, è passibile di ricorso gerarchico, si veda la circolare 16/2010.
[12] Così la circ. 1/2013.
[13] Così la circ. 1/2013.
[*] Il Dott. Luigi Sposato è Ispettore del lavoro in servizio presso l’ITL di Cosenza.
Le opinioni e le valutazioni contenute nel presente scritto sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’amministrazione di appartenenza – Ispettorato Nazionale del Lavoro.
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