A fine anno, si sa, è tempo di fare bilanci, di guardarsi indietro e osservare la strada percorsa. Si è trattato, a parere di chi scrive, di un 2024 con elementi positivi nel mondo del lavoro, ma anche con parecchie ombre, che riguardano il mercato del lavoro a livello italiano e probabilmente anche europeo.
Nel corso dell’anno si è registrato un aumento dell’occupazione e una corrispettiva riduzione del tasso di disoccupazione; grazie al rinnovo dei contratti collettivi del privato si è avviato un recupero del potere di acquisto delle retribuzioni; dall’altra parte, però, si rileva un incremento del tasso di inattività, ossia delle persone che hanno smesso di cercare un lavoro, un dato molto significativo su cui occorrerebbe riflettere con attenzione; il numero delle morti sul lavoro non sembra subire particolari segni di arretramento, considerando che dai dati INAIL dei primi dieci mesi dell’anno si contano 890 morti, facendoci avvicinare alla fatidica soglia dei mille morti l’anno, sotto la quale sinora non si è mai riusciti a scendere. Non sono inclusi, ad esempio, i cinque morti di Calenzano e altri che sono deceduti nei giorni successivi.
A quest’ultimo proposito, sia consentito un inciso: nel cosiddetto “DdL Lavoro”, nei giorni scorsi definitivamente approvato, si prevede – tra l’altro - che il datore di lavoro debba comunicare al competente ispettorato territoriale del lavoro di voler adibire locali chiusi sotterranei o semi sotterranei a luogo di lavoro e che, trascorsi trenta giorni da tale comunicazione senza alcun riscontro dall’ITL, si possa procedere a farlo. Finora, il datore di lavoro che avrebbe voluto fare una cosa simile, avrebbe dovuto aspettare l’intervento dell’ASL che, fatte le verifiche del caso, avrebbe poi dato il suo benestare. L’aver trasformato l’intera procedura in un semplice silenzio-assenso, non considerando la carenza di personale dell’Ispettorato, rientra nel solito pendolo all’italiana che, oscillando da una parte all’altra, non riesce a trovare un equilibrio tale da garantire tutti gli elementi in gioco e, in questo caso, c’è in gioco la salute e la sicurezza sul lavoro, probabilmente eccessivamente sacrificate dal mero silenzio-assenso. Ci permettiamo di ipotizzare che, dopo i primi infortuni e le proteste per quanto previsto, il pendolo tornerà a oscillare verso la restrizione, facendo cambiare nuovamente la norma.
Sono tante le crisi aziendali che ogni giorno nascono nel Paese e fanno aumentare il numero di ore di cassa integrazione: dai dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali emerge che siano state autorizzate, nei primi nove mesi di quest’anno, 44.9 milioni di ore di cassa integrazione, a fronte di 37.8 milioni di ore autorizzate a settembre dell’anno precedente. Un incremento importante e di non poco conto.
Se incrociamo questi dati macroeconomici con quelli di carattere sociologico, del Rapporto Censis 2024, che disegnano un Paese sfiduciato, che non vede più un futuro e qualora lo intraveda, non lo fa dipendere da questioni o decisioni interne, ma solo da ciò che accade attorno – dal cambiamento climatico alle guerre in corso, alle tensioni e ai cambiamenti geopolitici – ne viene fuori un quadro che evidenzia un profondo cambiamento tuttora in svolgimento e dagli sviluppi al momento imprevedibili.
A fronte di questo, sarebbe veramente importante recuperare il ruolo dei corpi intermedi, sindacati e partiti politici in primis, per restituirli alla funzione di collettori e rappresentanti di interessi diffusi e riportare il dialogo tra i vari soggetti in campo, per arrivare a trovare soluzioni che rappresentino una sintesi virtuosa in cui non ci siano “vincitori” e “vinti”. Se, peraltro, proviamo ad alzare lo sguardo al resto d’Europa, notiamo che la situazione non sembra apparire diversa dal quadro italiano, sia a livello sociale che economico: dai dati della Commissione Europea al 31 ottobre scorso, la ripresa economica è ancora timida, il costo della vita resta alto nonostante l’inflazione sia in calo, l’incertezza del contesto globale non consente di disegnare scenari precisi per il futuro. L’Europa intera rischia di essere marginalizzata se non recupera fiducia in sé e non fa quello scatto di reni che potrebbe ridarle centralità, arrivando seriamente e velocemente a costruire quell’Europa federale che potrà mettere a fattor comune le nostre migliori energie e risorse.
Riprendendo una celebre quanto abusata citazione di Antonio Gramsci, stiamo vivendo in un’epoca in cui il mondo vecchio sta morendo e quello nuovo tarda a comparire. Occorre evitare che, in questo chiaroscuro, possano nascere mostri.
Con questo auspicio di essere e praticare speranza, porgo a tutte e a tutti gli auguri di buone festività natalizie e di un felice anno nuovo.
[*] Presidente della Fondazione Prof. Massimo D’Antona ETS
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