Anno XIII - n° 67

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Gennaio/Febbraio 2025

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Anno XIII - n° 67

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Nota a Cassazione penale n. 43662 del 28 novembre 2024

Le incertezze sulla nuova sentenza della Cassazione sul caporalato

Il lavoro intellettuale esula dal 603 bis c.p.


di Eugenio Erario Boccafurni [*]

Eugenio Erario Boccafurni 67

La Cassazione penale n. 43662 del 28 novembre 2024, nella sua funzione nomofilattica, segna un punto di svolta interpretativo nella perimetrazione dell’efficacia oggettiva dell’articolo di riferimento in materia di caporalato e sfruttamento lavorativo.

È noto che l’art. 603 bis c.p. “copre” una vasta area grigia del nostro ordinamento, compresa tra l’effimera risposta penalistica connessa all’esercizio dell’interposizione illecita di manodopera, solo di recente ri-penalizzata, e il gigantismo penale della riduzione in schiavitù, di cui all’art. 600 c.p.. In questo quadro regolatorio, i Giudici di legittimità, ricostruendo la “genesi agricola” del 603 bis c.p., quale norma «introdotta da una legge mirata al “contrasto ai fenomeni dello sfruttamento del lavoro in agricoltura” ed è inserita in un tessuto normativo costituito da reati come la riduzione in schiavitù, la tratta di persone, il traffico di organi prelevati da persone vive (oltre che prostituzione e pornografia minorile), vale a dire reati che colpiscono, su una scala elevatissima, la “personalità” individuale, fino al punto di annullarla», hanno escluso nettamente – senza operare distingui e/o eccezioni di sorta nell’incedere della propria argomentazione – che la disposizione codicistica possa attagliarsi allo sfruttamento di prestazioni di lavoro a natura intellettuale[1].

Corte Di CassazioneIn altri termini, inforcando le lenti giuslavoriste e ricorrendo per forza di cose alle categorie legali dell’art. 2095 c.c., ancorché quest’ultima norma non sia mai direttamente citata nell’arresto, si dovrebbe concludere che lo sfruttamento sia un (cattivo) “affare” che possa potenzialmente riguardare le sole mansioni operaie, escludendo quelle impiegatizie evidentemente di natura intellettuale.

Di talché, ancora una volta, così come tra l’altro era avvenuto a seguito della riforma dell’art. 2103 c.c. ad opera del Jobs Act[2], anche la giurisprudenza penale impone un ritorno di attualità della distinzione tra impiegati ed operai, tra colui che “collabora all’impresa” e l’operaio che svolge la propria opera “nell’impresa”: criteri ermeneutici di cui questa società si era illusa di poter definitivamente fare a meno per effetto dell’inquadramento unico degli anni settanta dello scorso secolo[3].

Entrando nel merito, la vicenda giudiziaria ha tratto origine dal comportamento di una cooperativa operante nel campo dell’istruzione secondaria, la quale, minacciando la mancata riassunzione del proprio personale “di concetto” a termine e facendo leva sull’altrui stato di bisogno, aveva costretto ad accettare lavoro sottopagato e/o a restituire parte della retribuzione formalmente corrisposta.

Ebbene, nell’escludere l’applicabilità dell’art. 603 bis c.p. al caso di specie, la Cassazione ha fornito un’interpretazione letterale particolarmente stringente del reato in parola, atteso che è «il dato testuale a precludere l’applicazione della norma a categorie di lavoro che avvalendosi di prestazioni intellettuali, esulano in radice dalla categoria dei lavori manuali, siano essi in ambito agricolo o artigianale o industriale».

La norma, infatti, fa espresso riferimento alla condotta di colui che “recluta” ovvero “utilizza, assume o impiega manodopera”, «termine semanticamente legato alla manualità e generalmente alla prestazione di lavoro privo di qualificazione (tanto che, ove le qualità manuali e realizzative aumentino, si parla di “manodopera specializzata”), nome collettivo all'interno del quale l'individuo e le sue capacita perdono significato a fronte della potenzialità produttiva che il gruppo di lavoratori può esprimere».

È evidente che la Cassazione abbia scelto di accordare un dirimente significato al sostantivo “manodopera”, legando a doppio filo la punibilità datoriale (o del “committente”, in assenza di lavoro subordinato) allo sfruttamento di lavori meramente manuali (rectius: mansioni operaie), siano essi svolti «in ambito agricolo o artigianale o industriale».

Lo sfruttamento della manodopera, conclude la sentenza, per forza di cose «è estraneo al lavoro intellettuale, tanto se esercitato in forma subordinata che nella libera professione, poiché l'intelletto ed il suo uso costituiscono elemento identitario ed individualizzante che non può essere svilito, disperdendolo nella categoria generica della manodopera».

Sennonché, in un mondo del lavoro caratterizzato dalla subordinazione che si concreta in «un’ingerenza, idonea a svilire l’autonomia del lavoratore» [4], dall’esercizio del potere direttivo a mezzo algoritmico[5] e dalla “terra di mezzo dai confini labili”[6] delle collaborazioni “etero-organizzate” dal committente[7], occorre interrogarsi sulla sostenibilità giuridica dell’ipervalutazione del sostantivo “manodopera”.

Erario Boccafurni 67 1A tal proposito, senza con ciò voler addentrarsi troppo nella ricostruzione semantica del termine “manodopera”, si rileva che non si ha affatto una univocità di significati, atteso che, secondo l’enciclopedia Treccani, esso sta a significare «complesso di persone che prestano lavoro subordinato in uno o più settori di attività produttiva», mentre per Garzanti indica il «complesso di persone che compiono un lavoro subordinato, per lo più manuale». Sicché, l’interpretazione letterale – ubi lex voluit, dixit; ubi noluit, tacuit – muove, forse, da un assunto tutt’altro che granitico.

Comunque sia, tralasciando l’argomentazione della Suprema Corte, non ci si può esimere dall’ammonire il lettore che l’affermazione di tale ricostruzione restrittiva potrebbe portare ad escludere in radice l’applicabilità dell’art. 603 bis c.p. ad una serie di prestazioni lavorative “ad ibrida natura intellettuale”, come ad esempio quelle rese nei call center “inbound” e/o “outbound” [8] , le mansioni legate al back office aziendale, le professioni sanitarie svolte da OSS, ADB, OSA e OTA[9].

In tutti questi casi, infatti, il più delle volte siamo in presenza di mansioni intellettuali “elementari e ripetitive”[10], tutt’altro che al riparo dallo svilimento e dell’alienazione che – secondo la Cassazione n. 43662 – può inquinare unicamente la “manodopera”.

In conclusione, alla luce dei rischi applicativi connessi alla massima enucleata in quest’ultima pronuncia di legittimità, appare evidente la necessità di un restyling normativo che sia volto ad evitare l’affermazione di una rigida interpretazione letterale, che trascina con sé il dubbio di una visione anacronistica del concetto di sfruttamento. Quadrato Rosso

Note

[1] Una differenziazione qualitativa che affonda il proprio ragion d’essere sin dalla tecnica definitoria interna all’art. 1 del Regio Decreto Legge n. 1825/24.

[2] Sul ruolo della categoria legale nella regolamentazione del mutamento delle mansioni, si rimanda a C. PISANI, I nostalgici dell’equivalenza delle mansioni, in Working Paper CSDLE “Massimo D’Antona”, 2016, 2, 199 ss; U. GARGIULO, Lo jus variandi nel “nuovo” art. 2103 cod. civ., in Working Paper CSDLE “Massimo D’Antona”, 2016, 268 ss; A. GARILLI, La nuova disciplina delle mansioni tra flessibilità organizzativa e tutela del prestatore di lavoro, in DLRI, 2016, 129 ss.

[3] Per una trattazione organica dell’art. 2095 e dei criteri di differenziazione tra categorie legali, si rimanda a C. PISANI, Commento all’art. 2095 cod. civ. – Categorie dei prestatori di lavoro, in Commentario del Codice Civile, diretto da Gabrielli, UTET 2013.

[4] Così Corte cost., sentenza n. 76 del 2015: «il potere direttivo…si sostanzia nell’emanazione di ordini specifici, inerenti alla particolare attività svolta e diversi dalle direttive d’indole generale, in una direzione assidua e cogente, in una vigilanza e in un controllo costanti, in un’ingerenza, idonea a svilire l’autonomia del lavoratore».

[5] Tra i tanti che hanno trattato il tema, in un’ottica di valorizzazione dei rischi in materia di salute e sicurezza sul lavoro, si rimanda a S. CAIROLI, Intelligenza artificiale e sicurezza sul lavoro: uno sguardo oltre la siepe, in DLS n. 2/2024.

[6] Icastica espressione utilizzata dalla Cassazione, sentenza n. 1663/2020, in merito al lavoro etero-organizzato svolto dai riders.

[7] Nell’enorme profluvio dottrinale che, in stagioni diverse, ha ricostruito la natura e l’atteggiarsi dell’art. 2 del D.lgs. n. 81/2015, si rimanda a G. SANTORO – PASSARELLI, la subordinazione in trasformazione, in Lavoro Diritti Europa, n. 3/2021; Id, Lavoro etero-organizzato, coordinato, agile e telelavoro: un puzzle non facile da comporre nell’impresa in via di trasformazione, in DRI n. 3/2017, 771 ss.; M. MAGNANI, Subordinazione, eterorganizzazione e autonomia tra ambiguità normative e operazioni creative della dottrina, in DRI, 2020, 1; G. PROIA, Il lavoro autonomo continuativo e le collaborazioni “organizzate” tra esigenze di tutela e contrasto agli abusi, in Liber Amicorum di Giuseppe Santoro- Passarelli. Giurista della contemporaneità, 2018, I, 494 e ss; A. PERULLI (a cura di), Lavoro autonomo e capitalismo delle piattaforme, Milano, 2018; G. FERRARO, Collaborazioni organizzate dal committente, in RIDL, 2016, I; P. TOSI, L’art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 81/15: una norma apparente?, in ADL, 2015,6; R. PESSI, Il tipo contrattuale: autonomia e subordinazione dopo il Jobs Act, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT, n. 282/2015; D. MEZZACAPO, L’incerta figura delle collaborazioni organizzate dal committente, in RGL, 2017, I.

[8] In tema, sia consentito un rimando a E. ERARIO BOCCAFURNI, Il lavoro etero-organizzato nei call center, LPO, 7-8/2019, 432 ss.

[9] a proposito di lavoro svolto da OSS, formalmente inquadrati come co.co.co. in seno a cooperative e riqualificati come lavoratori subordinati, si segnala l’interessante Corte di Appello di Firenze, sentenza del 14.08.2023: «quanto alla facoltà dei formali collaboratori di accettare o meno i singoli incarichi senza conseguenze in caso di rifiuto, rileva il collegio come essa non valga ad escludere l'esistenza del vincolo di subordinazione, giacché ogni lavoratore è libero di accettare o meno una proposta di lavoro avanzata da un datore e l'esistenza del vincolo di subordinazione deve accertarsi in costanza del rapporto negoziale (e per la durata dei singoli rapporti). Si tratta di principi affermati da ultimo dalla decisione 13.2.2018 n. 3457 della Corte di Cassazione, secondo cui "la predisposizione e l'assoggettamento sono la descrizione del contenuto del rapporto, nel suo materiale svolgimento. Il fatto che il lavoratore sia libero di accettare o non accettare l'offerta e di presentarsi o non presentarsi al lavoro e senza necessità di giustificazione, non attiene a questo contenuto, bensì è esterno, sul piano non solo logico bensì temporale (in quanto precede lo svolgimento). Tale fatto è idoneo solo(eventualmente) a precludere (per l'assenza di accettazione) la concreta esistenza d'un rapporto (di qualunque natura); e comporta la conseguente configurazione di rapporti instaurati volta per volta (anche giorno per giorno), in funzione del relativo effettivo svolgimento, e sulla base dell'accettazione e della prestazione data dal lavoratore. L'accettazione e la presentazione del lavoratore, espressioni del suo consenso, incidono (come elemento necessario ad ogni contratto) sulla costituzione del rapporto e sulla sua durata: non sulla forma e sul contenuto della prestazione (e pertanto sulla natura del rapporto)". A tali principi, cui il collegio convintamente aderisce, deve quindi conformarsi anche la presente decisione».

[10] Si intende richiamare la copiosa giurisprudenza in merito all’esercizio del potere direttivo in presenza di mansioni “elementari e ripetitive”, cfr. Cassazione n. 23371/2022; n. 17384/2019; n. 18271/2010.


[*] Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto del lavoro ‒ Università di Roma “La Sapienza”, già Assegnista di Ricerca in Diritto del Lavoro presso l’Università “Carlo Bo” di Urbino. Attualmente è responsabile del Processo Pianificazione della Direzione Interregionale del Lavoro del Centro.
Le considerazioni contenute nel presente scritto sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.

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