Commento all’ordinanza della Corte di Cassazione, sezione lavoro, n. 3400 depositata il 10 febbraio 2025
Con l’ordinanza in commento la Suprema Corte indaga la possibilità di risarcimento del danno non patrimoniale in caso di demansionamento del lavoratore.
Tre sono i pilastri su cui si fonda la decisione della Corte: accertamento del demansionamento, verifica della spettanza del ristoro e quantificazione dello stesso.
Demansionare il lavoratore significa adibirlo a mansioni inferiori rispetto a quelle pattuite all’interno del contratto individuale.
L’art. 2103 c.c. specifica che il lavoratore deve espletare le mansioni per cui è stato assunto, quelle corrispondenti all’inquadramento superiore successivamente acquisito o le mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.
In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale.
Il legislatore specifica ancora che “in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale”.
Il mutamento di mansioni, in ogni caso, deve essere accompagnato da idonea formazione, comunicato per iscritto con diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa.
Se il lavoratore è assegnato a mansioni superiori ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione diviene definitiva, salva diversa volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi.
La Corte di Cassazione con l’ordinanza depositata lo scorso febbraio individua i criteri per l’accertamento in concreto del demansionamento. In particolare, specifica che è necessario indagare la pertinenza rispetto alla posizione contrattuale delle mansioni svolte in concreto, quelle svolte di fatto e quelle previste dal contratto di categoria con raffronto tra previsione fattuale e contrattuale.
In caso di accertata violazione dell’art. 2103 c.c., quindi, di demansionamento ingiustificato del lavoratore è ammissibile il risarcimento del danno non patrimoniale che, secondo la Corte, risulta possibile sempre in caso di violazione accertata di diritti del lavoratore aventi rango costituzionale e in presenza della persistenza della lesione, della lunga durata e della reiterazione della situazione illecita. A ciò deve aggiungersi l’inerzia del datore di lavoro rispetto alle istanze del prestatore anche in assenza di una volontà precisa di demansionamento o di svalutazione delle mansioni.
La prova della sussistenza delle condizioni per il risarcimento del danno grava sul lavoratore che, non necessariamente, deve fornire dei testimoni potendo la stessa basarsi anche solo su indizi purché gravi, precisi e concordanti. La Cassazione, a titolo esemplificativo, annovera la qualità e quantità del lavoro svolto, il tipo di professionalità, la durata della prestazione, la nuova collocazione.
Dopo aver analizzato i presupposti da dimostrare per la nascita del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale da demansionamento, i Giudici si soffermano sulla quantificazione del danno da effettuarsi in via equitativa suscettibile di rilievi di legittimità solo per vizio di motivazione ovvero se totalmente ingiustificata, sproporzionata o disancorata dai dati concreti. Tali vizi non sono ravvisabili ove la misura dell’importo è uguale all’oggettiva differenza tra le mansioni cui il lavoratore era adibito e quelle di livello inferiore riassegnate.
[*] In servizio presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, DG Politiche Previdenziali e Assicurative, Divisione I. Le considerazioni contenute nel presente articolo sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.
Seguiteci su Facebook