Il legislatore, per rispondere a nuove esigenze di mercato, con la legge 13 dicembre 2024, n. 203, denominata disposizioni in materia di lavoro, all’articolo 17 ha aggiunto alla normativa del lavoro una nuova formula contrattuale: il contratto di lavoro misto. Come vedremo non si tratta di una nuova forma contrattuale che si aggiunge al diritto del lavoro, ma di una norma che va a regolamentare due formule contrattuali già da lungo tempo esistenti e da sempre contrapposte tra di loro. Tale formula di lavoro è stata già oggetto di sperimentazione nel periodo 2017 – 2023 per il settore bancario, prevista da una specifica contrattazione e riguardante il contratto ibrido.
Il contratto di lavoro misto vuole rappresentare una possibile soluzione moderna diretta a dare risposte alle nuove esigenze produttive delle aziende nonché alle aspirazioni professionali dei lavoratori.
Questa nuova disposizione consente ad un lavoratore di svolgere attività lavorativa per lo stesso datore di lavoro sia in modo subordinato che autonomo, offrendo così al mercato del lavoro la possibilità di fruire di ulteriori forme di flessibilità attraverso una speciale formula dove il datore di lavoro risulta essere anche un cliente.
Il datore di lavoro che intende avvalersi di tale facoltà deve procedere all’assunzione del lavoratore con contratto di lavoro subordinato a tempo parziale indeterminato con un orario non inferiore al 40% e non superiore al 50% dell’orario settimanale e contemporaneamente deve sottoscrivere un secondo contratto di natura autonoma o d’opera professionale che, ai sensi dell'articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, deve essere certificato dagli organi abilitati (Ispettorato territoriale del lavoro, Università, Ente bilaterale, Albo provinciale dei consulenti del lavoro). La certificazione è richiesta non solo per assicurare la conformità del contratto alla legge ma anche per evitare eventuali contestazioni future.
La norma prevede espressamente che le due attività, subordinata e autonoma, non devono avere alcuna forma di sovrapposizione con riguardo all’oggetto, alle modalità della prestazione, all’orario di svolgimento del lavoro ed alle giornate di lavoro. Da ciò risulta chiaro ed inequivocabile che il lavoratore non può svolgere le due prestazioni nel medesimo momento o nella stessa giornata e la separazione delle prestazioni deve risultare dagli atti certificati dalla commissione di certificazione di cui all’articolo 76 del D.Lgs. n. 276/2003.
La normativa stabilisce che si può ricorrere alla stipula del contratto di lavoro misto in presenza di specifici requisiti collegati al lavoratore subordinato/autonomo ed al datore di lavoro.
La norma prevede che il datore di lavoro, per poter avvalersi di tale tipologia di contratto, deve occupare più di duecentocinquanta dipendenti, calcolati al 1° gennaio dell’anno in cui viene stipulato il contratto di lavoro misto.
Per quanto riguarda il calcolo dei dipendenti in forza valgono le consuete regole:
La norma stabilisce che il lavoratore deve essere una persona fisica già iscritta a un albo o registro professionale, ovvero svolgere attività libero-professionali, comprese le collaborazioni coordinate e continuative previste dall’articolo 409, numero 3 del codice di procedura civile. Si evidenzia al riguardo che alcuni ordini professionali prevedono regole rigide che impediscono agli iscritti di svolgere qualsiasi lavoro dipendente.
Se il lavoratore non risulta iscritto ad albi professionali, la norma consente comunque la possibilità di fare ricorso al contratto misto in presenza della stipula di un accordo di prossimità con le rappresentanze sindacali aziendali, come previsto dall’articolo 8, comma 2, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148.
Il lavoratore, per assicurare la separazione tra l’attività autonoma e quella subordinata, è obbligato ad eleggere un domicilio professionale che deve essere diverso dal luogo aziendale.
Il contratto di lavoro subordinato deve essere a tempo indeterminato con orario a tempo parziale (part-time) compreso tra il 40% ed il 50% dell’orario settimanale previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato;
Inoltre il suddetto contratto deve rispettare la normativa in materia di lavoro a tempo parziale come disciplinato dal D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81.
Il contratto di lavoro autonomo deve essere finalizzato all’esercizio dell’attività professionale o di collaborazione coordinata e continuativa;
Il datore di lavoro deve astenersi dall’impartire qualsiasi direttiva sull’attività autonoma svolta dal lavoratore autonomo, poiché la stessa deve essere gestita in piena autonomia dal lavoratore.
La norma prevede inoltre espressamente che la causa ostativa di cui alla lettera d-bis) del comma 57 dell'articolo 1 della legge 23/12/2014, n. 190 non si applica nei confronti delle persone fisiche iscritte in albi o registri professionali che esercitano attività libero professionali. Ciò ne consegue che nei confronti di chi esercita attività libero professionali è applicabile il regime fiscale forfettario che prevede, oltre alle semplificazioni ai fini iva e contabili, anche la determinazione forfetaria del reddito da assoggettare ad una sola imposta del 15% sostitutiva di quelle sui redditi e sull’irap.
L’articolo 1, comma 3 della legge 3 aprile 2001, n. 142 prevede, tra l’altro, che il socio lavoratore di cooperativa con l’adesione all'instaurazione del rapporto associativo stabilisce un ulteriore rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata non occasionale.
In virtù di tale disposizione risulta del tutto evidente che la normativa riguardante il contratto di lavoro misto possa essere applicato anche al socio lavoratore di società cooperativa a condizione che tale tipologia contrattuale sia preventivamente prevista dal regolamento interno di cui all’articolo 6 della legge 3 aprile 2001, n. 142.
Con riferimento poi all’articolo 2513 del codice civile per ciò che concerne l’indicazione nella nota integrativa dei criteri per la definizione della prevalenza della mutualità, in presenza di un socio lavoratore con contratto misto, è necessario che in bilancio il costo del lavoro venga suddiviso tra la voce B9 per il costo imputabile al contratto di lavoro subordinato e la voce B7 per il costo del lavoro afferente al contratto di lavoro autonomo. Nel caso di specie si realizzano contestualmente più tipi di scambio mutualistico e, pertanto, la condizione di prevalenza deve essere documentata facendo riferimento alla media ponderata delle voci B7 e B9.
I vantaggi del contratto di lavoro misto sono diversi e significativi sia per le aziende che per i lavoratori, ma la normativa prevede un notevole limite per ciò che riguarda i requisiti del datore di lavoro.
Il datore di lavoro, per poter procedere alla stipula del contratto di lavoro misto, deve impiegare più di 250 dipendenti, così la norma è applicabile alle sole grandi aziende che sono un numero ridottissimo rispetto al numero delle micro, piccole e medie imprese che restano fuori dall’applicazione di tale tipologia di contratto. Anche le imprese cooperative restano fuori dalla possibilità di utilizzare il contratto di lavoro misto poiché le stesse difficilmente raggiungono l’impiego di un numero di personale così elevato.
I vantaggi del contratto di lavoro misto sono diversi e visibili sia all’impresa che al lavoratore. Per le aziende la possibilità di poter contare su una maggiore flessibilità nell’acquisizione di competenze specialistiche e per il lavoratore di poter fare affidamento su una maggiore sicurezza economica derivante dal reddito fisso rispetto a quello variabile.
Le preclusioni al contratto di lavoro misto rimangono connessi a probabili fattori elusivi derivanti dallo svolgimento di due contratti di lavoro tra le stesse parti: il rischio della sovrapposizione di due prestazioni di lavoro subordinato ed autonomo nello stesso giorno e nella stessa ora, il rischio di invasione dei periodi di riposi giornalieri e settimanali da rispettare come lavoratore subordinato dalla prestazione professionale. Si aggiunge inoltre la preoccupazione espressa anche da parte sindacale sull’effetto che tale formula possa favorire un fenomeno di lavoro autonomo non genuino a discapito del lavoro subordinato, ecc.
Perché il legislatore ha inteso escludere le micro, piccole e medie imprese dalla possibilità di potere stipulare contratti di lavoro misto? Se la motivazione è quella legata a fattori elusivi o alla necessità di un periodo di sperimentazione, dopo un’attenta valutazione ed apportate le relative modifiche, compresa la previsione di una specifica norma sanzionatoria, si potrebbe prevedere di estendere il contratto di lavoro misto a tutte le imprese.
[1] L’articolo 27 del D.Lgs. 15 giugno 2015, in merito ai criteri di computo, prevede: Salvo che sia diversamente disposto, ai fini dell'applicazione di qualsiasi disciplina di fonte legale o contrattuale per la quale sia rilevante il computo dei dipendenti del datore di lavoro, si tiene conto del numero medio mensile di lavoratori a tempo determinato, compresi i dirigenti, impiegati negli ultimi due anni, sulla base dell'effettiva durata dei loro rapporti di lavoro.
[*] Funzionario dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro in pensione. Le considerazioni contenute nel presente scritto è frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’ex Amministrazione di appartenenza.
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