La sintetica trattazione che segue tenta di chiarire se la fattispecie di c.d. lavoro nero sia un illecito puramente omissivo oppure a condotta mista, anche – e soprattutto – con riguardo alle varie riforme intervenute nel tempo.
In premessa, sono opportuni alcuni brevi cenni relativi alle condotte illecite omissive, operati sulla base di principi penalistici applicabili anche agli illeciti amministrativi.
Negli illeciti di tipo omissivo l’inerzia del soggetto inattivo è sanzionata perché viola un obbligo di agire, a sua volta previsto dalla legge in presenza d’una determinata situazione tipica. Tale situazione tipica può sorgere precedentemente o contestualmente rispetto all’omissione, mai successivamente. Non è, infatti, rimproverabile né sanzionabile, ex se, l’omissione di un atto che diventi doveroso solamente in seguito alla sua mancata effettuazione.
Oltre alle condotte illecite puramente omissive, nel nostro ordinamento sono previste e disciplinate anche fattispecie illecite a condotta mista, nelle quali segmenti di condotta omissiva acquistano rilevanza sanzionatoria solo se risultano connessi a specifiche condotte attive imputabili allo stesso soggetto (e viceversa). È il caso, ad es., del reato di Insolvenza fraudolenta (art. 641 c.p.), con il quale è sanzionata la condotta di chi – dissimulando il proprio stato d’insolvenza – dapprima contrae un’obbligazione col proposito di non adempierla, e poi effettivamente non la adempie.
Per chiarire se, nella sua formulazione attuale, il c.d. lavoro nero sia un illecito di natura omissiva o a condotta mista, in primo luogo, è importante individuare il momento di perfezionamento dell’illecito, esaminando la fattispecie dalle sue origini fino ad oggi.
La formulazione originaria dell’art. 3 co. 3 D.L. 12/2002, convertito con modificazioni nella Legge n. 73/2002, sanzionava la condotta del datore di lavoro che impiegava uno o più lavoratori non risultanti “dalle scritture o da altra documentazione obbligatorie”. In altre parole, l’illecito si perfezionava con l’omissione congiunta di due oneri: quello comunicativo, e quello di iscrizione nel Libro paga e nel Libro matricola. L’effettuazione di anche uno solo tra i due adempimenti menzionati – comunicativo e di iscrizione – escludeva la configurabilità dell’ipotesi di lavoro nero. Di conseguenza, per interpretare la disposizione sanzionatoria in esame, era centrale – e lo è tuttora – la questione relativa ai termini stabiliti dalla legge, rispettivamente, per l’effettuazione della comunicazione d’assunzione, e per l’iscrizione del lavoratore nei libri obbligatori.
La decorrenza dei termini in parola è di fondamentale rilevanza perché, in generale, è solo allo scadere del termine stabilito dalla norma che un onere può dirsi effettivamente omesso.
Fino al 1° gennaio 2007 la cadenza cronologica era la seguente: le scritture obbligatorie dovevano essere effettuate prima dell’ammissione al lavoro (almeno con riferimento al Libro matricola); la comunicazione d’assunzione, invece, poteva essere effettuata entro i cinque giorni successivi all’inizio del rapporto lavorativo.
Dunque, ripercorrendo lo schema di previsione e formazione delle condotte illecite omissive esaminato in premessa, con riguardo alla fattispecie di lavoro nero così come prevista dal legislatore fino al 31 dicembre 2006, pare corretto affermare che si trattasse di un illecito omissivo.
Più in dettaglio:
Con l’entrata in vigore dell’art. 1 co. 1180 Legge n. 296/2006 (Legge finanziaria per il 2007), il legislatore ha introdotto il principio per cui il datore di lavoro deve effettuare la comunicazione d’assunzione entro il giorno che precede la data d’instaurazione del rapporto di lavoro, ossia entro le 24 ore che precedono il primo giorno d’occupazione.
Il contesto normativo è poi ulteriormente mutato con l’entrata in vigore delle disposizioni contenute nell’art. 39 D.L. 112/2008, convertito con modifiche nella Legge n. 133/2008 e attuato con D.M. del 9 luglio 2008. A partire da tale data, com’è noto, Libro paga e Libro matricola sono confluiti nel Libro unico del lavoro. Per le iscrizioni sul LUL il termine d’adempimento previsto è il giorno 16 del mese successivo al fatto da iscrivere.
Anche (indirettamente) novellata in tal modo, dunque, la fattispecie di lavoro nero risultava aderente allo schema tipico delle condotte illecite omissive: il termine decadenziale entro cui effettuare uno degli oneri oggetto d’omissione, infatti, era collocato al giorno 16 del mese successivo rispetto a quello di instaurazione del rapporto di lavoro. L’occupazione del lavoratore, dunque, si confermava situazione tipica preesistente, dalla quale discendeva l’obbligo di comunicare e iscrivere l’assunzione dello stesso lavoratore. Omessi tali adempimenti, la condotta del soggetto inattivo acquisiva rilevanza sanzionatoria.
Quanto appena osservato trova riscontro nelle tre ordinanze della Corte di cassazione n. 25037/2020, 35978/2021 e 10746/2023. Infatti, tali pronunce riguardano ipotesi in cui il rapporto di lavoro sommerso era iniziato rispettivamente nell’aprile 2010, nel dicembre 2003 e nel dicembre 2004.
Relativamente ai tre casi decisi dalle ordinanze in parola, dunque, vale quanto appena considerato, ossia che l’illecito cui esse si riferiscono si è perfezionato nel momento in cui alla situazione tipica di impiego del lavoratore si sono aggiunte entrambe le omissioni menzionate: sia quella relativa alla comunicazione d’assunzione (preventiva solo a far data dal 1° gennaio 2007), sia quella relativa alle scritture obbligatorie (effettuabili successivamente al primo giorno di lavoro).
Nelle tre ordinanze in parola, i giudici della Corte di cassazione hanno ritenuto che la condotta del datore di lavoro che ometteva di comunicare e iscrivere l’assunzione di un lavoratore, dopo aver dato inizio al rapporto di lavoro, costituisse un illecito omissivo a consumazione istantanea. Il prosieguo del rapporto di lavoro irregolare, a sua volta, è stato ritenuto un effetto permanente di tale condotta omissiva a consumazione istantanea.
In data 24 novembre 2010, con l’entrata in vigore dell’art. 4 co. 1 Legge n. 183/2010, il legislatore ha espunto dall’art. 3 co. 3 D.L. 12/2002 il riferimento alle scritture obbligatorie e, al contempo, ha ristretto l’ambito d’applicazione della c.d. maxi-sanzione per lavoro nero al solo impiego irregolare dei lavoratori subordinati. A seguito di tale riforma, infatti, nella sua formulazione vigente, la fattispecie sanziona la condotta del datore di lavoro che impiega uno o più lavoratori subordinati “senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro”.
Con riferimento al quadro normativo in vigore, dunque, a seguito di tale importante riforma, l’integrazione della fattispecie di cui all’art. 3 co. 3 D.L. 12/2002 richiede la concorrenza di due segmenti di condotta ben distinguibili:
Nella formulazione attuale dell’illecito, quindi, l’occupazione del lavoratore subordinato costituisce una parte di condotta necessaria ai fini del perfezionamento della fattispecie. E non v’è dubbio che sia un segmento di condotta attiva: si tratta, infatti, di un’azione volontaria, che dev’essere compiuta colpevolmente o dolosamente (come richiede l’art. 3 della Legge n. 689/1981 per la generalità degli illeciti amministrativi). Pertanto, essa non può essere considerata una mera condizione obiettiva di punibilità.
Inoltre, nel quadro normativo conseguente alla riforma del 2010, l’impiego in nero del lavoratore è inevitabilmente successivo alla scadenza del termine entro cui il datore di lavoro deve comunicare l’assunzione del lavoratore stesso. Dunque, l’occupazione del lavoratore non può più costituire una situazione tipica da cui scaturisce l’onere oggetto di omissione illecita.
Come ricordato sopra, infatti, negli illeciti omissivi la situazione tipica può insorgere contestualmente o precedentemente rispetto all’omissione sanzionabile: giammai può essere successiva a quest’ultima.
Né può esservi alcun dubbio circa il fatto che il perfezionamento della fattispecie illecita in parola richieda la successiva condotta attiva consistente nell’effettivo impiego del lavoratore subordinato. Infatti, la semplice omissione della comunicazione d’assunzione, di per sé, sarebbe irrilevante sul piano amministrativo e sanzionatorio, se non fosse seguita dall’instaurazione del rapporto di lavoro, e più specificatamente dall’effettiva occupazione del lavoratore in regime di lavoro subordinato.
Si potrebbe obiettare che, in realtà, il rapporto di lavoro subordinato è generato da attività prodromiche all’effettiva occupazione del lavoratore: il colloquio di lavoro, la stipula del contratto, le prime direttive datoriali ecc. Tutte operazioni, queste, che sono normalmente effettuate nei giorni precedenti quello d’occupazione. A rilevare sul piano sanzionatorio, però, non è l’accordo tra datore di lavoro e lavoratore, né tantomeno l’intenzione del datore di lavoro. Quel che il legislatore sanziona, infatti, è l’effettivo e concreto impiego irregolare del lavoratore.
A titolo esemplificativo: tra tutti coloro che al termine della giornata odierna non effettueranno la comunicazione d’assunzione d’un lavoratore, domani la fattispecie di lavoro nero potrà essere contestata solamente a quelli che avranno effettivamente occupato un lavoratore nell’ambito d’un rapporto di lavoro subordinato (non a coloro che avranno solamente concordato o pianificato tale azione).
A tal riguardo, con espresso riferimento allo spartiacque segnato dall’entrata in vigore dell’art. 4 co. 1 Legge n. 183/2010, nella sentenza n. 173/2020, la Corte costituzionale ha osservato che “la novità di spicco – anche agli odierni fini – è rappresentata dalla ridefinizione della nozione di ‘lavoro sommerso’, contro la quale si rivolge la sanzione (…). La condotta integrativa dell’illecito è ora costituita, dunque, dall’utilizzazione di dipendenti senza aver effettuato preventivamente la comunicazione di assunzione al centro per l’impiego”.
Pur non qualificando in maniera esplicita la fattispecie vigente come omissiva o commissiva, la statuizione da ultimo riportata sottolinea in maniera esplicita la rilevanza sanzionatoria del segmento di condotta attiva coincidente con l’effettiva utilizzazione del dipendente.
E se per applicare la sanzione è necessario un segmento di condotta attiva, allora deve concludersi che, nel quadro normativo successivo al 24 novembre 2010, la maxi-sanzione per lavoro nero costituisce una fattispecie illecita a condotta mista, nella quale l’omissione della comunicazione d’assunzione assume specifica rilevanza sanzionatoria solo se è seguita dall’effettiva occupazione dello stesso lavoratore in regime di subordinazione.
Con l’ordinanza n. 10100 del 15 aprile 2024 la Corte di cassazione si è pronunciata su un’ipotesi di lavoro nero relativa al periodo compreso tra l’11 gennaio 2013 (data di concreta occupazione del lavoratore) e il 7 marzo 2013 (data di assunzione infedelmente comunicata al Centro per l’impiego competente). La fattispecie concreta, dunque, era collocata nel quadro normativo successivo alla riforma del 2010.
L’accertamento dell’illecito era stato compiuto dall’ITL competente per il luogo in cui si era svolta la prestazione di lavoro, e lo stesso Ispettorato aveva proceduto ad emettere il provvedimento sanzionatorio di cui all’art. 18 Legge n. 689/1981. Trasgressore e obbligato in solido si sono opposti alla sanzione.
In primo grado l’opposizione degli ingiunti era stata rigettata. In secondo grado, invece, la Corte d’appello aveva accolto l’eccezione di incompetenza territoriale dell’organo emanante il provvedimento sanzionatorio, ritenendo che, anche nella formulazione vigente, l’occupazione d’un lavoratore in nero costituisca un illecito puramente omissivo, a consumazione istantanea. Da tale interpretazione discendeva l’applicazione del principio generale per cui, negli illeciti omissivi, la competenza territoriale ad emettere ordinanza ingiunzione sarebbe spettata all’ente competente per il territorio in cui avrebbe dovuto essere compiuta la condotta alternativa omessa. Nel caso concreto in parola, il datore di lavoro aveva sede in Napoli (così come lo studio di consulenza del quale lo stesso si avvaleva): pertanto, la Corte d’appello aveva ravvisato l’incompetenza territoriale dell’ITL di Firenze, e aveva annullato l’ordinanza ingiunzione emessa dallo stesso ITL.
La pronuncia della Corte d’appello è stata oggetto di ricorso da parte dell’amministrazione, che, rappresentata dall’Avvocatura generale dello Stato, con unico motivo di ricorso ha eccepito quanto stabilito dall’art. 9 bis co. 2 D.L. 510/1996, in forza del quale “in caso di instaurazione del rapporto di lavoro subordinato e di lavoro autonomo in forma coordinata e continuativa, anche nella modalità a progetto, di socio lavoratore di cooperativa e di associato in partecipazione con apporto lavorativo, i datori di lavoro privati, ivi compresi quelli agricoli, e gli enti pubblici economici sono tenuti a darne comunicazione al Servizio competente nel cui ambito territoriale è ubicata la sede di lavoro”.
In altre parole, l’amministrazione non ha dedotto alcunché circa la natura della condotta illecita descritta nella fattispecie, e si è limitata – invece – a suggerire che la condotta alternativa doverosa avrebbe dovuto svolgersi non già nelle sedi in cui la comunicazione d’assunzione doveva essere effettuata, bensì nel luogo in cui la stessa comunicazione avrebbe dovuto essere ricevuta.
Ne è conseguito che, nel motivare l’ordinanza di rigetto, la Corte di cassazione si è pronunciata su tale singolo motivo di ricorso, senza soffermarsi (e senza potersi soffermare) sull’esame della condotta illecita di lavoro nero nella sua struttura complessiva. In altre parole, pare ragionevole una lettura dell’ordinanza che – come la pronuncia stessa – sia limitata all’unico motivo di ricorso, il quale non riguardava la natura della condotta illecita nel suo complesso, ma solamente il luogo di commissione della sua parte omissiva.
Da quanto sopra osservato pare potersi concludere che, nel quadro normativo vigente a far data dal 24 novembre 2010, la condotta illecita sanzionata dalla fattispecie di lavoro nero è di tipo misto poiché, oltre all’omissione di una condotta doverosa, il suo perfezionamento richiede anche il compimento di un segmento di condotta attivo.
Tale conclusione è confermata a chiare lettere nella sentenza n. 173/2020 della Corte costituzionale, e non è stata negata dall’ordinanza n. 10100/2024 della Corte di cassazione, dato che – come osservato – in quell’occasione i Giudici di legittimità sono stati investiti di una singola questione, riguardante esclusivamente la collocazione geografica di quel comportamento omissivo che, unito al successivo impiego del lavoratore, compone oggi la condotta sanzionata dall’art. 3 co. 3 D.L. 12/2002.
La conclusione secondo cui la condotta illecita in esame avrebbe natura mista è compatibile anche con quanto stabilito nelle ordinanze n. 25037/2020, 35978/2021 e 10746/2023, a loro volta riguardanti fattispecie concrete realizzate nella vigenza di un quadro normativo differente in maniera significativa – e anzi decisiva – per la qualificazione dell’illecito in parola.
Del resto, è evidente che, a far data dal 24 novembre 2010, per integrare la condotta di c.d. lavoro nero, il datore di lavoro deve:
Dunque, ne consegue che il luogo di perfezionamento e consumazione della condotta illecita andrebbe identificato con quello in cui è compiuto il secondo, decisivo, segmento di condotta: quello attivo, che si realizza con l’impiego del lavoratore nella sede operativa ove si svolge la prestazione di lavoro.
[*] Funzionario amministrativo presso il Processo legale e l’Unità di raccordo regionale dell’Ispettorato territoriale del lavoro dell’Aquila. Le considerazioni contenute nel presente scritto sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.
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