Anno XIII - n° 68

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Marzo/Aprile 2025

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Anno XIII - n° 68

Marzo/Aprile 2025

Misurazione e valutazione della produttività dei dipendenti pubblici

Prime riflessioni sulle modifiche al sistema di misurazione e valutazione

di Marco Biagiotti [*]

Marco Biagiotti 2

Lo schema di disegno di legge recante “Disposizioni in materia di sviluppo della carriera dirigenziale e della valutazione della performance del personale dirigenziale e non dirigenziale delle pubbliche amministrazioni”, approvato dal Consiglio dei Ministri il 13 marzo scorso, ancora in attesa, alla data di redazione del presente contributo, dell’avvio dell’esame parlamentare, introduce diverse novità per quanto riguarda l’accesso alle qualifiche dirigenziali di prima e seconda fascia. Sebbene sia stata proprio quest’ultima sezione ad aver attirato la maggiore attenzione mediatica, in questo numero di Lavoro@confronto ci concentreremo sulla prima parte relativa alla performance, nel tentativo di analizzare alcune delle innovazioni che essa introduce e le criticità ad esse correlate.

Biagiotti 68 1Prima di entrare nel merito dei contenuti del provvedimento (e nella consapevolezza che, prevedibilmente, sarà oggetto di cambiamenti in corso d’opera) corre l’obbligo di sottolineare come esso intervenga a modificare – in qualche caso profondamente – diversi aspetti delle vigenti disposizioni in materia di misurazione e valutazione della performance dei pubblici dipendenti contenute nel decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, autentica pietra miliare della legislazione nazionale su tale materia. Ma a più di 15 anni dall’entrata in vigore di quel provvedimento, a quanto sembra, il problema di calcolare la produttività degli impiegati statali italiani ai fini dell’assegnazione dei premi di risultato non è stato ancora risolto. Evidentemente il governo ritiene che la macchina attuale della performance non funzioni così bene, se reputa necessaria un’iniziativa legislativa per modificare, talvolta in modo sostanziale, ben 10 articoli del decreto 150[1]. Che poi debba trattarsi di un problema sensibile anche nella prospettiva degli impegni che il nostro Paese ha assunto con i partner europei a seguito della presentazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, è confermato dal fatto che la revisione dei meccanismi di performance compare tra le riforme previste in uno degli “Assi” della componente M1C1 dello stesso PNRR[2].

Fra le novità più salienti che si vorrebbero introdurre nel sistema di valutazione attualmente in uso vi è, innanzitutto, la ridefinizione generale dei parametri da utilizzare nell’ambito dei sistemi di valutazione. Essi dovranno infatti essere composti da una parte legata agli “obiettivi” e da un’altra alle “caratteristiche trasversali” indicate nell’art. 9 del decreto 150, recante: “Ambiti di misurazione e valutazione della performance individuale”. Per comprendere meglio questa distinzione, tuttavia, occorre considerare alcune modifiche che lo stesso disegno di legge apporta all’art. 9 in parola e precisamente:

  • con riferimento ai dirigenti e al “personale responsabile di una unità organizzativa in posizione di autonomia e responsabilità”, viene introdotta la necessità di misurare e valutare la performance individuale tenendo conto – oltre che degli indicatori già esistenti – anche di una serie di “caratteristiche trasversali” quali:

    1. capacità di “superare schemi consolidati” e di realizzare flessibilità organizzativa orientata al risultato;
    2. capacità realizzativa;
    3. capacità di cooperazione interna ed esterna;
    4. capacità di “agire velocemente con tempestività e decisione”;
    5. capacità di “costruire team ad alte performance” e di valorizzare i propri collaboratori;
  • con riferimento al restante personale, la misurazione e la valutazione della performance individuale dovranno tenere conto anche della capacità di “assolvere ad incarichi che prevedono obiettivi di particolare complessità” e della capacità di “raggiungere gli obiettivi formativi assegnati”, in aggiunta agli altri già previsti a normativa vigente.


Abbiamo dunque un ampliamento del ventaglio di indicatori a disposizione dei valutatori delle performance individuali che sposta i confini del processo valutativo in un territorio nuovo e dai limiti piuttosto incerti. Sembrano infatti acquistare speciale rilevanza nel processo di valutazione fattori che, a prima vista, hanno poco a che vedere con l’oggettività e la verificabilità dei risultati prodotti nella concreta attività di servizio, ma che nondimeno finirebbero per avere un peso rilevante negli esiti valutativi, dalla cui selettività dipende la graduazione delle quote di retribuzione accessoria legate alla produttività. Ciò vale soprattutto per il personale dirigente o che si trova “in posizione di autonomia e responsabilità” (e qui dobbiamo augurarci che sia la contrattazione collettiva integrativa a stabilire, per ciascuna amministrazione, se in tale formula vada ricompreso il personale destinatario di posizioni organizzative, quello assegnatario di specifici incarichi e/o quello collocato nell’area delle elevate responsabilità ai sensi degli ordinamenti professionali definiti dai CCNL vigenti); ma, seppure con minore estensione e profondità, anche il resto del personale non dirigente appare interessato dai nuovi criteri valutativi.

Senza pretesa di voler anticipare gli effetti di una norma che esiste solo sotto forma di progetto, sembra ragionevole avanzare il dubbio che l’espressione dell’attitudine a “superare gli schemi consolidati”, a mostrare “capacità realizzativa” o a “costruire team ad alta performance” possa risultare frustrata dalle molteplici (e per lo più imprevedibili) contingenze interne ed esterne che incidono sull’organizzazione del lavoro delle nostre amministrazioni, alterando la percezione dei risultati oggetto di misurazione e valutazione. Considerazioni analoghe valgono per le “caratteristiche trasversali” che contribuiscono a informare la valutazione della capacità del personale non dirigente di raggiungere “obiettivi di particolare complessità”, rispetto ai quali manca qualunque ulteriore e più specifica definizione che aiuti a riconoscerne meglio i contenuti in termini di responsabilità giuridica e dimensione professionale. Peraltro, che si tratti di un passaggio critico del nuovo impianto normativo deve essere apparso chiaro anche agli estensori dello schema di provvedimento, dal momento che si prevede il rinvio ad un successivo decreto del Ministro della pubblica amministrazione, da adottare entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge, per definire le “modalità per lo svolgimento e il bilanciamento della valutazione tra la parte di obiettivi e la parte delle caratteristiche trasversali e per la graduale integrazione dei sistemi di misura e valutazione della performance, nonché gli strumenti e i criteri per assicurare oggettività della valutazione”. Ma le complicazioni non finiscono qui.

Biagiotti 68 2Sempre con riferimento alla struttura del nuovo sistema valutativo, il disegno di legge, modificando l’art. 2 del decreto 150/2009, prevede che la valutazione avvenga su due piani e in momenti distinti, seppure tra loro integrati: una “valutazione collegiale tra dirigenti”, articolata in fasi preventive e successive, volta a “superare eventuali asimmetrie nelle scale di valutazione degli obiettivi e dei comportamenti del personale”; e una “valutazione da parte degli utenti esterni di riferimento”, riferita alla sola performance organizzativa delle strutture. Per inciso, la disomogeneità dei criteri di assegnazione delle valutazioni di performance fra dirigenti di diversi uffici (con conseguente diversa incidenza sull’assegnazione delle quote di salario accessorio) è esperienza comune fra coloro che, nel corso degli ultimi 15 anni, sono stati normalmente oggetto di valutazione periodica delle proprie prestazioni lavorative presso le strutture di appartenenza. Ed è innegabile come ciò rappresenti uno dei fattori di maggiore disarmonia fra dipendenti e dirigenti responsabili della valutazione, producendo una diffusa insoddisfazione (se non addirittura una latente o esplicita conflittualità) che non contribuisce alla coesione interna dei gruppi di lavoro, non premia la collaborazione funzionale fra i diversi settori dell’attività amministrativa e, tanto meno, implementa la fiducia del personale non dirigente nei confronti dei meccanismi valutativi. Ci sembra però che la fase della “valutazione collegiale”, seppure tenda meritoriamente a superare la discrasia di cui sopra, andrebbe meglio coordinata con la previsione dell’art. 7, comma 2, lettera b) del decreto legislativo 150/2009, relativa allo svolgimento della funzione valutativa da parte dei “dirigenti di ciascuna amministrazione”.

Fra le modifiche che il ddl introduce in materia di riforma del sistema premiale, una delle più discusse (soprattutto sul fronte delle rappresentanze sindacali) è quella che riguarda le condizioni per la valutabilità della performance ai fini del riconoscimento delle progressioni economiche, dell’attribuzione di incarichi di responsabilità e del conferimento di incarichi dirigenziali. A tale riguardo, una significativa integrazione al testo del comma 5 dell’art. 3 del decreto legislativo 150/2009 sancisce la stretta corrispondenza “in termini percentuali” del trattamento retributivo legato alla performance alla valutazione conseguita. Inoltre, in omaggio al principio di “progressività” della valutazione, si fissa il divieto di attribuire il punteggio massimo a più del 30% delle “valutazioni effettuate per ciascuna categoria o qualifica” nell’ambito di ciascun “ufficio dirigenziale generale, o di livello corrispondente secondo il relativo ordinamento”. A sua volta, il “riconoscimento delle eccellenze” non può superare la misura del 20%. Impossibile non rivedere i fantasmi della deprecata tripartizione del personale entro fasce di merito predeterminate ai fini dell’attribuzione delle quote individuali di retribuzione premiale, contenuta nella riforma del 2009 e, in realtà, mai applicata[3]. Qui, però, la nuova norma sembra mirare più al contenimento delle spese a carico dei fondi che ad implementare la crescita della produttività degli uffici attraverso meccanismi di competizione interna tra i dipendenti. Non c’è infatti alcuna ragione di carattere motivazionale per presumere che il 70% delle risorse umane di qualunque unità operativa della p.a. non sia in grado di esprimere il massimo delle proprie competenze professionali, contribuendo così al raggiungimento degli obiettivi di performance assegnati alla struttura di appartenenza in rapporto alle condizioni organizzative entro cui sono chiamate ad operare. Peraltro, il tema della differenziazione dei trattamenti accessori individuali in relazione alla valutazione delle performance rientra da anni positivamente (e pacificamente) nel campo delle competenze contrattuali[4], come si può ben vedere, ad esempio, nella più recente sequenza contrattuale delle Funzioni Centrali (art. 77 CCNL 2016-2018, art. 50 CCNL 2019-2021, ora sostituito e disapplicato dall’art. 33 CCNL 2022-2024).

Quanto alle ‘eccellenze’ evocate nello schema di ddl, la vaghezza del termine e il draconiano limite percentuale imposto al loro riconoscimento in funzione premiale non sembrano accordarsi con gli sforzi compiuti nel tempo dalla contrattazione collettiva nazionale per conferire ai dipendenti più ‘meritevoli’ una identità professionale e uno spessore giuridico coerente con gli obiettivi di efficientamento e crescita della qualità dei servizi che le amministrazioni pubbliche pongono alla base della propria azione. Per venire incontro a tale esigenza, infatti, la tornata contrattuale 2019-2021 ha previsto – in aggiunta all’istituto delle posizioni organizzative, già esistente – la creazione di un’area delle elevate professionalità nell’ambito della riforma del sistema ordinamentale, con significativa differenziazione del trattamento economico rispetto al restante personale non dirigenziale, accompagnandola (non casualmente) alla definizione di una specifica declaratoria delle caratteristiche professionali e delle competenze richieste per accedervi. Ma anche con riferimento alle valutazioni individuali di performance al netto di incarichi e/o riconoscimenti ordinamentali, la contrattazione collettiva nazionale ha recepito da anni l’esigenza di premiare individualmente i dipendenti che si distinguono particolarmente per rendimento e capacità, come ben dimostra, ad esempio, l’art. 78 del CCNL Funzioni Centrali 2016-2018[5].

A conclusione di questa certamente non esaustiva disamina, desideriamo soffermarci sulle modifiche che il ddl apporta all’art. 12 del decreto 150 concernente la definizione dei soggetti coinvolti nel processo di misurazione e valutazione della performance organizzativa e individuale. In particolare, mette conto segnalare l’introduzione di due ulteriori “soggetti” oltre a quelli già indicati nel testo vigente. In aggiunta al Dipartimento della funzione pubblica, agli Organismi Indipendenti di Valutazione, all’organo di indirizzo politico-amministrativo e ai dirigenti di ciascuna amministrazione, entrano in scena infatti anche i neo-istituiti “collegi” per la valutazione tra dirigenti (su cui ci siamo soffermati in precedenza) e gli “utenti esterni di riferimento (…) tramite appositi strumenti di valutazione”. In disparte tutte le considerazioni sulla lievitazione burocratica del processo valutativo, che non trova riscontri in alcun settore produttivo diverso dalla p.a., si ha l’impressione che il riferimento agli ‘utenti esterni’ possa generare qualche confusione rispetto ai contenuti dell’art. 19-bis del decreto 150, introdotto dalla riforma Madia, concernente la “partecipazione dei cittadini e degli altri utenti finali” al processo di misurazione delle performance organizzative. Seguendo le modifiche all’art. 12, il raggio di intervento degli “utenti esterni” si estenderebbe anche alla valutazione delle performance individuali, ma non è chiaro in che modo sarà possibile calare concretamente nella realtà questo passaggio e, soprattutto, armonizzarlo con la già ricordata modifica all’art. 2 che richiama l’intervento degli ‘utenti esterni’ con riferimento alla sola performance organizzativa. Quanto agli “appositi strumenti di valutazione”, c’è da augurarsi che nessuno pensi di raccogliere i suggerimenti avanzati da qualche illustre giuslavorista sull’uso delle “faccine” per esprimere “in modo sintetico e rapido la propria valutazione sulla capacità e disponibilità degli addetti per fare il necessario al fine di ridurre le code, di evitare al cittadino di dover tornare un’altra volta, di reperire per linee interne i documenti necessari (…) e così via”[6].

Biagiotti 68 3Forse, prima di procedere ad ulteriori stravolgimenti del già sin troppo tormentato decreto 150, sarebbe opportuno analizzare lo stato di applicazione del pacchetto di disposizioni contenute nel citato articolo 19-bis, a 8 anni dalla sua introduzione, per tentare di comprendere meglio i problemi e le criticità connessi all’interfaccia tra operatori dei servizi pubblici gestiti dalla p.a. e utenti esterni, con particolare riguardo alla soddisfazione di questi ultimi per la qualità dei servizi resi. Si sottolinea ancora una volta che il processo di partecipazione dei cittadini, come delineato nell’art. 19-bis, è limitato alla “misurazione delle performance organizzative” (non alla valutazione) e avviene in forma mediata comunicando “all’Organismo indipendente di valutazione il proprio grado di soddisfazione per le attività e i servizi erogati”. Al di là dei facili slogan di sicuro effetto mediatico, occorre affrontare la complessità delle metodologie che il processo di misurazione oggettiva delle performance delle pubbliche amministrazioni richiede anche in riscontro alle differenze territoriali e organizzative esistenti fra le varie amministrazioni. 

Sembra utile, in tale ottica, rimandare alla preziosa (e poco indagata) letteratura esistente sugli impatti in termini di Valore Pubblico che emergono dall’analisi scientifica sull’utilizzo e sull’efficacia degli strumenti di performance nei vari livelli di amministrazione rispetto alle aspettative e alle necessità degli utenti. Il punto di riferimento, in questo caso, non può che essere quello offerto dalle Relazioni annuali del CNEL al Parlamento e al Governo sui livelli e la qualità dei servizi offerti dalle Pubbliche Amministrazioni centrali e locali alle imprese e ai cittadini – il 14 ottobre scorso è stata presentata l’edizione 2024[7] – la cui attenta lettura, di anno in anno, dovrebbe essere auspicabilmente prodromica a qualunque iniziativa legislativa sulla materia. Quadrato Rosso

Note

[1] Va ricordato che l’attuale governo era già intervenuto sulla materia con l’emanazione di una specifica direttiva del Ministro per la pubblica amministrazione concernente: “Nuove indicazioni in materia di misurazione e valutazione della performance individuale” (28 novembre 2023), tesa a ridefinire i “Sistemi di misurazione e valutazione delle performance” (SVMP) in un’ottica di “differenziazione delle valutazioni” quale “leva essenziale per l’efficace gestione delle risorse umane”.

[2] Nella Riforma 1.9 (“Riforma del pubblico impiego e semplificazione”) dell’Asse 3 si parla in modo esplicito di adottare una “strategia delle risorse umane volta a promuovere un cambiamento epocale di tutta la PA. Nella pianificazione strategica delle risorse umane è ricompresa una serie completa di misure intese a: aggiornare i profili professionali (anche in vista della duplice transizione); riformare i meccanismi di reclutamento per renderli più mirati ed efficaci; riformare le posizioni dirigenziali di alto livello per uniformare le procedure di nomina in tutta la PA; rafforzare il legame tra apprendimento permanente e meccanismi di ricompensa o percorsi di carriera specifici; definire o aggiornare i principi etici delle pubbliche amministrazioni; rafforzare l'impegno a favore dell'equilibrio di genere; riformare la mobilità orizzontale e verticale del personale.”, nonché definire “una serie di indicatori chiave di performance per orientare i cambiamenti organizzativi delle amministrazioni.”.

[3] Per buona memoria, ricordiamo che in seguito all’emanazione del decreto legislativo 1° agosto 2011, n. 141 (ossia, nel pieno del blocco dei rinnovi contrattuali del pubblico impiego ispirato ai ‘suggerimenti’ delle autorità finanziarie europee) l’attuazione della norma (art. 19 del d.lgs. 150/2009) che prevedeva tre fasce di merito entro cui inserire, in percentuali prestabilite (rispettivamente 25%, 50%, 25%) il personale da valutare, con assegnazione differenziata a ciascuna fascia del monte risorse disponibili ai fini della determinazione del salario accessorio individuale, era stata posticipata a partire dalla tornata contrattuale successiva a quella del quadriennio normativo 2006-2009. Successivamente, la riforma Madia (decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 74) ha modificato l’art. 19 cancellando definitivamente il controverso passaggio.

[4] Il testo vigente dell’art. 19 del d.lgs. 150/2009, come modificato dal d.lgs. n. 74/2017 (cfr. nota precedente), prevede: “Il contratto collettivo nazionale, nell'ambito delle risorse destinate al trattamento economico accessorio collegato alla performance ai sensi dell'articolo 40, comma 3-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, stabilisce la quota delle risorse destinate a remunerare, rispettivamente, la performance organizzativa e quella individuale e fissa criteri idonei a garantire che alla significativa differenziazione dei giudizi di cui all'articolo 9, comma 1, lettera d), corrisponda un'effettiva diversificazione dei trattamenti economici correlati”.

[5] L’articolo citato, tutt’ora vigente, così recita: “1. I dipendenti che conseguano le valutazioni più elevate, secondo quanto previsto dal sistema di valutazione dell’amministrazione, è attribuita una maggiorazione del premio individuale di cui all’art. 77, comma 2, che si aggiunge alla quota di detto premio attribuita al personale valutato positivamente sulla base dei criteri selettivi.”
“2. La misura di detta maggiorazione, definita in sede di contrattazione integrativa, non potrà comunque essere inferiore al 30% del valore medio pro-capite dei premi attribuiti al personale valutato positivamente ai sensi del comma 1.”
“3. La contrattazione integrativa definisce altresì, preventivamente, una limitata quota massima di personale valutato, a cui tale maggiorazione può essere attribuita.”

[6] Vedi: “A tu per tu con l’Autore: intervista a Pietro Ichino sul lavoro pubblico”, Bollettino ADAPT n. 10, 11 marzo 2024, https://www.bollettinoadapt.it/a-tu-per-tu-con-lautore-intervista-a-pietro-ichino-sul-lavoro-pubblico

[7] La Relazione, consultabile sul sito istituzionale del CNEL nella sezione “Documenti”, è stata approvata dalla Commissione Politiche sociali, Sviluppo Sostenibile e Terzo Settore nella seduta del 12 settembre 2024 e dall’Assemblea del CNEL nella seduta del 26 settembre 2024.

[*] Dipendente del Ministero del Lavoro dal 1984 al 2009 e, dal 2009 ad oggi, del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. Ha collaborato alla realizzazione della collana di volumi “Lavoro e contratti nel pubblico impiego” per la UIL Pubblica Amministrazione. Dal 1996 al 2009 è stato responsabile del periodico di informazione e cultura sindacale “Il Corriere del Lavoro”. Dal 2011 al 2023 ha collaborato alla redazione del notiziario “Mercato del lavoro e Archivio nazionale dei contratti collettivi” del CNEL.

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