Il lavoro accessorio fino al Jobs Act: quali criticità?
di Marica Mercanti [*]
Introduzione
Il Decreto Legislativo del 10 Settembre 2003 n. 276 introduce nel Titolo VII intitolato “Tipologie contrattuali a progetto e occasionali” le “Prestazioni occasionali di tipo accessorio rese da particolari soggetti”.
Le esigenze da soddisfare in seguito all’introduzione del lavoro accessorio erano legate al contrasto del fenomeno del lavoro non dichiarato o “in nero” o “lavoro sommerso” ed all’incremento dei tassi di occupazione regolare e di partecipazione al mercato del lavoro. Altre finalità da realizzare erano:
- finanziare il sistema previdenziale, alimentando la contribuzione previdenziale;
- garantire al prestatore di lavoro livelli minimi di tutela, semplificando la gestione del rapporto di lavoro;
- favorire l’occupazione di alcune fasce di lavoratori considerati marginali.
Dalla riforma Biagi alla riforma Fornero
Inizialmente il legislatore, individuando presupposti oggettivi e soggettivi stringenti, ne ha limitato fortemente l’applicazione. Secondo la prima formulazione dell’art. 70 del D.Lgs. 276/2003 per prestazioni occasionali accessorie si intendono attività lavorative di natura meramente occasionale rese da soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscirne, nell'ambito dei piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresa l’assistenza domiciliare ai bambini e alle persone anziane, ammalate o con handicap, dell'insegnamento privato supplementare, dei piccoli lavori di giardinaggio, nonché di pulizia e manutenzione di edifici e monumenti, della realizzazione di manifestazioni sociali, sportive, culturali o caritatevoli, della collaborazione con enti pubblici e associazioni di volontariato per lo svolgimento di lavori di emergenza, come quelli dovuti a calamità o eventi naturali improvvisi, o di solidarietà.
All’art. 71 del D.Lgs. 276/2003 viene precisato che possono svolgere attività di lavoro accessorio i disoccupati da oltre un anno, le casalinghe, gli studenti e i pensionati, i disabili e i soggetti in comunità di recupero, oltre che ai lavoratori extracomunitari, regolarmente soggiornanti in Italia.
All’art. 72 sono fornite le istruzioni per l’applicazione dell’istituto. Il datore di lavoro, per avvalersi di questi lavoratori, acquista dei buoni presso le rivendite autorizzate e con questi paga il lavoratore che riscuoterà il corrispettivo presso il concessionario del servizio. Il compenso ricevuto dal lavoratore non va ad incidere sullo stato di disoccupazione ed è esente da imposizione fiscale.
Compito del concessionario (che trattiene per sé il 5% del valore nominale del buono) è registrare i dati del lavoratore ed effettuare il versamento dei contributi alla Gestione Separata dell'Inps (pari al 13% del valore nominale del buono) e all'Inail (nella misura del 7%).
Nei confronti dei lavoratori che effettuano prestazioni occasionali di tipo accessorio trovano applicazione tutte le disposizioni speciali vigenti in materia di sicurezza e tutela della salute, mentre per quanto riguarda gli adempimenti amministrativi, questi vengono semplificati, essendo prevista esclusivamente la trasmissione di una comunicazione preventiva d’inizio lavori al Contact Center Inps/Inail (ora all’Inps).
Per mezzo di alcune sostanziali modifiche all’impianto originario il legislatore, dopo il primo quinquennio in cui il lavoro accessorio è rimasto relegato in una sorta di limbo, ha inteso rinvigorire tale istituto, ampliando, attraverso vari interventi normativi, il campo d’applicazione sia sotto il profilo oggettivo (estendendo il ventaglio di attività nelle quali è possibile farne uso) sia soggettivo (la possibilità di impiego in quest’ambito estesa praticamente a tutti i lavoratori e non più solo ad alcune fasce marginali), fino a giungere alla Riforma Fornero.
La legge 28 giugno 2012, n. 92, “Riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”, in vigore dal 18 luglio 2012, nel voler modificare tale istituto per limitarne «l’uso improprio e distorsivo», apporta una significativa innovazione nella disciplina del lavoro occasionale accessorio. L’art. 1, comma 32, lett. a) prevede che possono considerarsi prestazioni di lavoro accessorio soltanto le «attività lavorative di natura meramente occasionale che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare, annualmente rivalutati sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell’anno precedente».
Le prestazioni possono essere rese in qualunque ambito di attività, compresi i committenti pubblici e da qualunque soggetto interessato, nel rispetto dei limiti economici definiti, con alcune limitazioni nell’ambito del settore agricolo[1].
Fermo restando il limite complessivo di 5.000 euro nel corso di un anno solare – nei confronti «dei committenti imprenditori commerciali o professionisti», le attività lavorative occasionali accessorie possono essere svolte «a favore di ciascun singolo committente per compensi non superiori a 2.000 euro»[2].
Inoltre, con l’art. 1, comma 32, lett. b), il D.D.L. interviene nel corpo dell’art. 72, comma 1, del D. Lgs. 276/2003 per stabilire che i “carnet di buoni” devono essere «orari, numerati progressivamente e datati», con ciò determinando una inevitabile e preventiva tracciabilità dei voucher.
La novella legislativa cambia pertanto il criterio di quantificazione del compenso del lavoratore accessorio che, da una “negoziazione” in relazione al valore di mercato della prestazione, passa ad un “ancoraggio” di natura oraria parametrato alla durata della prestazione stessa, così da evitare che un solo voucher, possa essere utilizzato per remunerare prestazioni di diverse ore.
Accertamenti ispettivi tra voucher e lavoro subordinato
Le possibili violazioni della disciplina in materia di lavoro accessorio attengono principalmente al superamento dei limiti quantitativi previsti, nonché all’utilizzo di voucher al di fuori del periodo consentito (30 giorni dall’acquisto).
Quanto al primo profilo, va anzitutto ribadito che il limite quantitativo diventa elemento qualificatorio della fattispecie e pertanto, in sede di verifica, è necessario che non sia stato già superato l’importo massimo consentito. Il superamento dei limiti anzidetti non potrà non determinare una trasformazione del lavoro accessorio in quella che costituisce la forma comune di rapporto di lavoro, ossia in un rapporto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato, con applicazione delle relative sanzioni civili e amministrative; ciò almeno con riferimento alle ipotesi in cui le prestazioni siano rese nei confronti di una impresa o di un lavoratore autonomo e risultino funzionali all’attività di impresa o professionale.
Analoghe conseguenze sanzionatorie non potranno non aversi anche nell’ipotesi di un utilizzo dei voucher in un periodo diverso da quello consentito (30 giorni dal suo acquisto).
Inoltre, in assenza del titolo legittimante la prestazione di lavoro accessorio (ossia in assenza, in sede di accesso ispettivo, della comunicazione preventiva di inizio lavori), la prestazione stessa sarà da ritenersi quale “prestazione di fatto”, non censita preventivamente e pertanto da considerarsi “in nero”, come peraltro chiarito con Circolare n. 38/2010 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Una particolare problematica concernente il lavoro accessorio e gli accertamenti ispettivi in tale ambito concerne la legittimità del ricorso a tale istituto in alcune particolari situazioni, ossia, nello specifico, nel caso di uno stesso datore di lavoro, per lo svolgimento delle medesime attività eseguite in precedenza dal lavoratore già in forza nella stessa azienda in virtù di un precedente contratto di lavoro subordinato o a chiamata (cessato per scadenza del termine, licenziamento o dimissioni, con o senza diritto a prestazione di sostegno del reddito).
Tale criticità potrebbe essere accertata sia nel caso di impiego di fatto di un lavoratore con voucher, senza soluzione di continuità rispetto al precedente rapporto di lavoro subordinato, o di un lavoratore utilizzato con voucher fino al raggiungimento del limite di carattere economico, poi assunto con contratto di lavoro subordinato. È invalsa difatti la prassi di utilizzare i voucher al fine di eludere la durata del cosiddetto “periodo di prova”, alle volte considerato dai datori di lavoro troppo breve per verificare le competenze professionali e l’attitudine del lavoratore allo svolgimento delle mansioni per le quali si intende assumere, facendo seguire, successivamente al superamento del limite economico previsto, l’assunzione del medesimo lavoratore con contratto di lavoro subordinato.
La criticità inerente la natura giuridica del lavoro accessorio non ha solo una valenza teorica, ma presenta dei risvolti pratici di non poco conto che coinvolgono, sia la disciplina sostanziale applicabile, che le verifiche e i controlli circa l’abuso nonché l’uso illegittimo di tale istituto.
È necessario premettere che il lavoro occasionale di tipo accessorio, sin dalla sua nascita, è stato al centro di un acceso dibattito circa la propria natura contrattuale. Parte della dottrina, infatti, ritiene che il lavoro accessorio non costituisca una nuova tipologia contrattuale, bensì una mera prestazione lavorativa con precise caratteristiche. Tale ricostruzione sarebbe avvalorata dalla circostanza che il legislatore, a differenza di tutte le altre tipologie contrattuali disciplinate all’interno del Capo II del Titolo VII del D.Lgs. 276/2003, non parla mai di contratto. La classica dicotomia lavoro autonomo/lavoro subordinato viene superata da quella parte della dottrina che invece, pur riconoscendone la natura contrattuale, parla di «irrilevanza della qualificazione giuridica del rapporto di lavoro accessorio». Tale ricostruzione parte dall’assunto secondo cui il principio di ordine costituzionale della «indisponibilità del tipo» non sarebbe assoluto, per cui il legislatore potrebbe legittimamente prevedere una disciplina derogatoria, rispetto a quella tradizionale, per quelle tipologie contrattuali che, sebbene di natura subordinata, presentino delle caratteristiche peculiari e siano rivolte ad un specifico contesto di riferimento. Il lavoro accessorio costituirebbe dunque una tipologia contrattuale a sé stante, con una propria esaustiva e speciale disciplina che, comunque, garantirebbe ai lavoratori un nucleo minimo di diritti e garanzie.
Tenuto conto di quanto previsto dalla Riforma Fornero e in particolare dalla Circolare n. 4/2013 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, la quale prevede che “è sempre possibile attivare sempre e comunque lavoro accessorio tenendo conto esclusivamente di un limite economico”, non sembrerebbero sussistere divieti in ordine all’utilizzo di personale tramite voucher con il quale è stato stipulato o verrà stipulato, senza soluzione di continuità, un rapporto di lavoro subordinato, anche con riferimento ad attività già svolte.
Il personale ispettivo potrà accertare dunque le possibili violazioni della disciplina in materia di lavoro accessorio legate esclusivamente al superamento dei limiti previsti, nonché l’utilizzo dei voucher al di fuori del periodo consentito, ma non la natura autonoma o subordinata del rapporto qualificato come lavoro accessorio.
E il lavoro accessorio negli appalti?
La Sezione Lavoro del Tribunale di Milano, con la Sentenza n. 318 depositata il 1° aprile 2014, ha disatteso le disposizioni fornite dal Ministero del Lavoro (con Circolare n. 4/2013) e l’Inps (con Circolare n. 88/2009 e Circolare n. 49/2013), in merito all’illiceità di utilizzo dei lavoratori occasionali accessori nell’ambito degli appalti. In pratica, il Tribunale ha affermato che “… non si rinvengono nella normativa vigente indicazioni che confinino, come sostiene il ricorrente, la liceità del lavoro accessorio nell’ambito della utilizzazione diretta dei lavoratori da parte dell’utilizzatore con esclusione dei rapporti di appalto o di somministrazione”. Unico limite al lavoro accessorio è quello relativo al compenso.
Nonostante l'ampio dibattito sviluppatosi in questi anni, secondo tale Sentenza, il legislatore, anche con la Riforma Fornero, non ha ritenuto necessario introdurre uno specifico divieto dell'uso dei voucher negli appalti, pur avendo pesantemente ridimensionato i contenuti economici della fattispecie.
La sentenza sconfessa, pertanto, la limitazione creata dalla prassi INPS, poi ribadita dal Ministero del Lavoro, secondo la quale il committente dovrebbe coincidere con l’’utilizzatore finale della prestazione, in quanto il ricorso ai buoni lavoro deve essere limitato al rapporto diretto tra prestatore e utilizzatore finale, mentre è escluso che una impresa possa reclutare e retribuire lavoratori per svolgere prestazioni a favore di terzi come nel caso dell’appalto e della somministrazione.
Ma non solo. A ben vedere, la stessa tesi dell’INPS è contraddetta da fonti normative di segno opposto.
Ad esempio, in una delle diverse formulazioni che si sono avvicendate, la Legge n. 191/2009 aveva previsto, fra le prestazioni ammissibili anche «attività di lavoro svolte nei maneggi e nelle scuderie», ossia attività che usualmente sono svolte non già in favore del soggetto datore di lavoro / committente (il proprietario del maneggio), ma in favore del proprietario dell’animale che viene affidato al maneggio o alla scuderia.
Ancora, la lettera e) dell’art. 70 (ante-riforma) prevedeva quali possibili campi di attività le «manifestazioni sportive, culturali, fieristiche o caritatevoli e di lavori di emergenza o di solidarietà anche in caso di committente pubblico»; anche per tali lavorazioni si verifica una normale “dissociazione” tra chi richiede la prestazione (l’ente che organizza l’evento sportivo, l’organizzazione di volontariato, la società editrice, il comune, ecc.) e chi beneficia della prestazione (la società proprietaria dello stadio di calcio, l’ente che ha organizzato la fiera o l’evento culturale o di solidarietà, ecc.).
D’altra parte, un’espressa norma (D.M. 24 febbraio 2010 del Ministero dell’Interno) dettata in materia di organizzazione e servizio degli assistenti sportivi (“steward”), autorizza espressamente le società sportive all’impiego dei voucher anche in presenza di un contratto di appalto o di somministrazione.
La realtà è che la prestazione di lavoro è (o almeno può essere) normalmente diretta a soddisfare un interesse che è quello del datore di lavoro/committente, indipendentemente da chi poi benefici degli “effetti finali” dell’attività.
La finalità della fattispecie non può essere altro che quella dettata dalla legge stessa, e cioè, nel caso specifico, di retribuire le prestazioni lavorative di carattere accessorio, per tali intendendosi quelle che rientrano entro i tetti stabiliti dalla norma. Ciò indipendentemente dai motivi, purché legittimi, per i quali il committente ritenga di farvi ricorso. Ad esempio, come avvenuto nel caso in esame (riguardante l’utilizzo dei voucher da parte di una società in house, per conto di un Comune, per il pagamento degli addetti al servizio di manutenzione e pulizia di strade), lo strumento è stato funzionale, come colto dal Tribunale, alla concretizzazione di un progetto di sperimentazione, di carattere sociale, avente lo scopo di favorire sostegno economico ad un certo numero di soggetti in situazione di difficoltà economica dovuta allo stato di disoccupazione.
L’appaltatore resterebbe il vero e unico destinatario della prestazione, ovvero l'utilizzatore, visto che per legge si accolla il rischio di impresa e si impegna a organizzare i mezzi per la realizzazione di una determinata opera o servizio.
Il Jobs Act: “discontinuità” ed “occasionalità”
La Legge-Delega sul Jobs Act, approvata in via definitiva dal Senato in data 3 dicembre 2014, introduce delle modifiche al lavoro accessorio, prevedendo, tenuto conto di quanto disposto dall’articolo 70 del D.Lgs. n. 276/2003, la possibilità di estendere il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio per le attività lavorative discontinue ed occasionali nei diversi settori produttivi, fatta salva la piena tracciabilità dei buoni lavoro acquistati, con contestuale rideterminazione contributiva di cui all’art. 72 del D.Lgs. 276/2003.
Con il Jobs Act il sistema dei buoni lavoro pertanto si amplia ulteriormente, ma allo stesso tempo, in attesa di conoscere gli ulteriori settori produttivi interessati, la nuova formulazione, indicando le condizioni di “discontinuità” ed “occasionalità”, potrebbe far riemergere la problematica di una difficile e non definita collocazione dell’istituto, questione che si era riuscita faticosamente a superare con la Riforma Fornero.
A fronte delle novità prospettate dal Jobs Act sul lavoro accessorio e in attesa dei decreti attuativi, il rischio che il ricorso a tale istituto, pur regolarizzando prestazioni lavorative che altrimenti resterebbero “sommerse”, diventi un potenziale strumento di precarietà e di conseguente destrutturazione del mercato del lavoro, resta e non può essere sottovalutato, in quanto, pur se in un clima di profonda crisi occupazionale, la tutela dei lavoratori deve rappresentare, pur sempre e comunque, uno dei capisaldi di qualsiasi Riforma.
Note
[1] Le norme sul lavoro occasionale accessorio trovano applicazione nelle attività lavorative di natura occasionale rese nel contesto delle attività agricole di carattere stagionale effettuate da pensionati e da giovani con meno di 25 anni di età e nelle attività agricole svolte a favore degli agricoltori con basso volume di affari (non superiore a 7.000 euro annui), che non possono, tuttavia, essere svolte da persone iscritte, nell’anno precedente, negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli.
[2] Attualmente il limite economico è stabilito in € 5.050 netti (€ 6.740 lordi) con riferimento alla totalità dei committenti e in € 2.020 netti (€ 2.690 lordi) con riferimento a ciascun committente in caso di prestazioni rese nei confronti di imprenditori commerciali e professionisti.
* Vincitrice del Premio Massimo D’Antona 2013. Funzionario della Direzione Territoriale del Lavoro di Ancona. Le considerazioni contenute nell’articolo sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non impegnano in alcun modo l’amministrazione di appartenenza.
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