La cultura della sicurezza nei lavoratori di oggi e di domani
di Antonino Ughettini [*]
Parlare di cultura della sicurezza ai giorni nostri potrebbe sembrare una cosa banale visto il quadro giuridico normativo oggi esistente in Italia. Tutti gli aspetti della sicurezza oggi hanno un preciso riferimento nella norma, nella prassi, nella consolidata giurisprudenza e nelle norme di buona tecnica. La salute e la sicurezza sul luogo di lavoro costituiscono, da sempre, una tematica tra le più sviluppate nell’ambito della politica sociale dell’Unione Europea. Si è sviluppato, infatti, un significativo corpus legislativo comunitario in materia di sicurezza sul lavoro e, grazie ad esso, ora è possibile costruire una strategia della UE che punti ad un’impostazione globale del benessere sul luogo di lavoro che consideri le veloci trasformazioni che interessano il mondo del lavoro tenendo presente tutti i nuovi rischi che tale trasformazione inevitabilmente fa insorgere.
La strategia della UE mira al rafforzamento di una cultura della prevenzione attraverso una combinazione di diversi strumenti: legislazione, dialogo sociale, innovazione tecnologica, individuazione di buone pratiche, responsabilità sociale delle imprese e incentivi economici. A tutto questo deve essere aggiunta la partecipazione attiva dei vari soggetti operanti nel campo della salute e della sicurezza. Questi obiettivi prefissati dalla UE sono stati raggiunti? Si può sicuramente affermare che le grosse e le medie aziende oggi hanno raggiunto la consapevolezza che investire in sicurezze significa migliorare il modo di lavorare senza dover affrontare i costi cosiddetti nascosti. Una strategia inefficace in materia di salute e sicurezza sul posto di lavoro comporta dei costi. I paesi i cui sistemi sanitari e di sicurezza sul posto di lavoro sono inefficaci impiegano risorse preziose per far fronte a infortuni e malattie evitabili. Una strategia nazionale forte migliora la produttività grazie a un calo delle assenze per malattia, riduce i costi dell'assistenza sanitaria, mantiene in attività i dipendenti più anziani, promuove metodi e tecnologie di lavoro più efficienti, diminuisce il numero di persone che devono ridurre il proprio orario di lavoro per assistere un familiare.
Oggi, ogni soggetto che è coinvolto con la sicurezza sui luoghi di lavoro, ha precisi riferimenti normativi e tecnici. Basterebbe applicare tutte le precauzioni previste dalla normativa nello svolgimento del lavoro quotidiano per evitare l’insorgenza di infortuni. La conoscenza della norma oggi è assicurata dalla norma stessa che prevede precisi obblighi sanzionati per tutte le figure coinvolte sui luoghi di lavoro. Il D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 prevede che i datori di lavoro devono rendere edotti i propri dipendenti su tutti i rischi presenti nell’azienda che non è stato possibile eliminare alla fonte e che sono elencati nel DVR.
Gli articoli 36 e 37 del D.Lgs. n. 81/2008 rappresentano un caposaldo dell’applicazione del principio prevenzionistico e partecipativo dei lavoratori in materia di sicurezza sul lavoro.
L’informazione prevista dall’art. 36 viene definita come “il complesso delle attività dirette a fornire conoscenze utili alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi in ambiente di lavoro” (art. 2, lett. bb). Il legislatore ha previsto il diritto del lavoratore a ricevere una duplice tipologia di informazione: una di tipo generale e una di tipo particolare. Quella di tipo generale deve riguardare i rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro connessi all’attività dell’impresa in generale; le procedure inerenti il pronto soccorso, la lotta antincendio, l’evacuazione dei lavoratori. Con questo tipo di informazione si da la possibilità a tutti i lavoratori di avere una conoscenza globale del rischio presente in tutta l’azienda in modo da evitare condotte imprudenti e negligenti del lavoratore non solo sul suo posto di lavoro, ma in ogni zona di lavoro dell’impresa.
Per quanto riguarda l’informazione particolare, il secondo comma dell’art. 36 prevede che il datore di lavoro debba informare il lavoratore anche dei rischi specifici che egli può correre in relazione all’attività svolta, nonché delle misure di sicurezza e delle disposizioni adottate dall’azienda e sulle misure ed attività di protezione e prevenzione adottate.
La formazione invece, prevista e regolata dall’art. 37 T.U., costituisce un altro fondamentale obbligo di prevenzione a carico del datore di lavoro. Per formazione il legislatore intende “il processo educativo attraverso il quale trasferire ai lavoratori ed agli altri soggetti del sistema di prevenzione e protezione aziendale conoscenze e procedure utili all’acquisizione di competenze per lo svolgimento dei rispettivi compiti in azienda e alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi” (art. 2, lett. aa). Con la formazione si mira ad ottenere la promozione, lo sviluppo e l’aggiornamento, attraverso un processo di apprendimento consapevole, delle tre dimensioni del “sapere” (conoscenze), “saper fare” (capacità) e “saper essere” (atteggiamenti) per realizzare, produrre e svolgere una competenza professionale.
Ma perché il legislatore ha voluto, con i predetti due articoli, prevedere in maniera dettagliata tali obblighi a carico del datore di lavoro? Se tutti i dipendenti fossero sempre diligenti, esperti e periti non sarebbe necessario dotare i luoghi di lavoro e le macchine di sistemi di protezione (Corte di Cassazione – Sezione IV Penale – 7 giugno 2010 n. 21511). E se tutti fossero sempre diligenti, esperti e periti non sarebbe neanche necessario informare, formare, addestrare, con aggiornamenti periodici, i lavoratori, ma anche i preposti e i dirigenti.
Ma così non è: non tutti sono diligenti-esperti-periti e anche chi lo è ha la tendenza a sottovalutare l'importanza dell'attenzione continua alla sicurezza e all'igiene del lavoro. Diventa dunque obbligatorio, da parte del datore di lavoro, nonché fondamentale, garantire a tutti i lavoratori, una formazione adeguata, idonea e continua.
Ma siamo proprio sicuri che la formazione che oggi viene somministrata alle persone adulte è efficace? Un equilibrato approccio alla sicurezza può essere sviluppato soltanto se il rischio reale sui luoghi di lavoro coincide, o quasi, con quello percepito dai lavoratori. Occorre tenere conto che la percezione del rischio riguarda la percezione che l’individuo ha del pericolo, il suo rapporto con l’azione più o meno ripetitiva del lavoro quotidiano in relazione ai rischi connessi con l’esecuzione di tali azioni. Riguarda quindi innanzitutto i modi di lavorare, di approcciarsi al lavoro, riguarda la cultura, la permeabilità, la disponibilità, l’attenzione, la prudenza o la spavalderia di ogni singolo individuo lavoratore. Dal punto di vista dei datori di lavoro il problema sembra ridursi al fatto di avere o non avere messo il lavoratore nelle condizioni di svolgere un lavoro in sicurezza, garantendogli condizioni di lavoro adeguate, strumentazioni sicure e garantite, dispositivi per la propria incolumità e la salvaguardia contro le dosi di rischio non eliminabili. Questo in moltissime situazioni, quotidianamente riscontrabili, sarebbe già un grande risultato.
Nella realtà l’obiettivo di fondo dovrebbe essere quello di arrivare a conoscere ed approfondire i meccanismi di pensiero e di azione dell’individuo per comprenderne i punti di vulnerabilità e poter in tal modo agire su questi aspetti specifici per un’azione che sia quanto più incisiva ed efficace possibile. I Datori di Lavoro hanno la necessità di conoscere le persone, di entrare nei pensieri degli individui per comprenderli, per orientarne i modi di lavorare. Non ci si può accontentare di applicare passivamente delle fredde e riduttive regole normative di per sé carenti se non correttamente applicate ed interpretate.
Il compito dei datori di lavoro è quello non tanto di applicare bene una regola, ma di arrivare all’obbiettivo che è quello di consentire ai lavoratori di saper individuare tutti i pericoli presenti sul luogo di lavoro. La percezione del rischio dipende dall’età dei lavoratori, dal sesso, dal grado di cultura, dal contesto sociale, economico e politico in cui si vive, dagli interessi e dal grado di conoscenza del problema. Molto in questi anni dopo l’emanazione del D.Lgs. n. 626/1994 si è fatto. Ma alla luce dei recenti infortuni mortali che continuano a susseguirsi si può affermare che ancora qualcosa non funziona.
Perché ancora i lavoratori continuano a morire sul luogo di lavoro? Ritengo che lo sforzo che bisogna ancora effettuare, oltre che prendere piena coscienza delle notevoli conquiste già ottenute, è quello di far crescere la consapevolezza dell’importanza della sicurezza sui luoghi di lavoro nei futuri lavoratori. Si mi riferisco all’insegnamento ed all’educazione dei bambini e dei ragazzi su un tema così importante. In realtà è proprio dall’educazione dei giovani che si deve partire se si vuol fare vera prevenzione e promozione della sicurezza e della salute negli ambienti di vita e di lavoro nelle nuove generazioni dei lavoratori se vogliamo veramente diminuire il numero di incidenti.
La cultura della sicurezza deve essere patrimonio non solo del tecnico, ma della intera collettività. Sviluppando la capacità di individuare il pericolo, acquisendo modelli di comportamento indirizzati alla salute e alla sicurezza dell’uomo, è possibile affrontare i piccoli incidenti di ogni giorno, così come le grandi emergenze, con una maggiore serenità e, soprattutto, ridurne gli effetti negativi.
Per affrontare in modo opportuno i rischi che si incontrano negli ambienti di vita e di lavoro è necessaria un’adeguata educazione alla Salute ed alla Sicurezza: gli alunni e gli studenti di oggi, che saranno lavoratori, dirigenti, professionisti e datori di lavoro di domani, costituiscono terreno fertile per la diffusione di tali tematiche. Una volta informati e formati correttamente saranno in grado di trasformarsi in osservatori straordinariamente lucidi e precisi nel prevenire infortuni e situazioni di rischio.
La scuola è il luogo ideale per promuovere la cultura della sicurezza nei luoghi di lavoro e sviluppare il valore della prevenzione ed insegnare agli studenti i principi della sicurezza personale e collettiva.
Le scuole operano su alunni le cui fasce di età consentono di intervenire con maggiore facilità su abitudini e mentalità assumendo un ruolo fondamentale nella trasmissione dei valori della prevenzione e della sicurezza alle nuove generazioni.
Ma quale che sia la distanza che separa i ragazzi dal loro ingresso nel mondo del lavoro, la conoscenza delle regole essenziali della sicurezza è da ritenere un valore da acquisire e salvaguardare per la vita presente e per quella futura. Alla formazione e conservazione di un così fondamentale patrimonio i ragazzi concorrono con la fantasia tipica della loro età.
L’INAIL su questo argomento è da tempo che investe mettendo a disposizione, sul proprio sito, tante pubblicazioni rivolte ai bambini ed ai ragazzi. Tali pubblicazioni cercano di spiegare in modo semplice come fare ad individuare i rischi presenti negli ambienti in cui viviamo.
E su questo fronte che è necessario un ulteriore sforzo, anche inserendo l’insegnamento obbligatorio della sicurezza sui luoghi di lavoro nelle scuole di ogni ordine e grado, per cercare di diminuire gli incidenti sui luoghi di lavoro che ancora oggi sono troppi.
Si dovrebbe senz’altro affermare: “di sicurezza bisogna vivere” .
[*] L'ing. Antonino Ughettini è Ispettore tecnico del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in servizio presso la Direzione Regionale del Lavoro di Reggio Calabria. Le considerazioni contenute nel presente articolo sono frutto esclusivo del libero pensiero dell’autore e non impegnano, in alcun modo, l’amministrazione di appartenenza.
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