Il trasferimento d’azienda e la tutela del lavoratore
di Luigi Oppedisano ed Erminia Diana [*]
1. L’azienda e l’impresa
Nel nostro ordinamento giuridico la nozione di azienda la rinveniamo nell’articolo 2555 del codice civile. La norma definisce l’azienda un complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa. I beni sono rappresentati dal lavoro delle persone, sia esso materiale che intellettuale e dai capitali (immobili, macchinari, merci, ecc.).
La nozione del codice civile ci porta a rivelare come l’azienda si eleva a bene giuridico ampio nella dimensione in cui può raffigurare uno strumento adatto a permettere l'attività dell'imprenditore, o meglio l’attività d’impresa. Ancora, si può definire l’azienda come quell’insieme di capitale e forza lavoro che è finalizzato alla produzione di beni o servizi e alla realizzazione di un profitto.
In economia con il termine “azienda” intendiamo “un’organizzazione di persone e di mezzi finalizzata alla soddisfazione di bisogni umani attraverso la produzione, la distribuzione o il consumo di beni economici e servizi verso clienti”.
Orbene, azienda ed impresa hanno significati giuridicamente molto simili: la prima “un complesso di beni organizzati”, la seconda, ricavabile dal disposto dell’art. 2082 del codice civile, che può essere descritta come “una entità economica organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni o di servizi”. L’organizzazione rappresenta il collegamento fra i fattori della produzione, circoscritto dall’imprenditore, al fine di esercitare l’impresa. Qualsiasi bene utilizzato o finalizzato all’attività d’impresa è definito “bene aziendale”. Nell'organizzazione aziendale rientrano pure i rapporti contrattuali stipulati per l'esercizio dell'impresa, i crediti verso la clientela ed i debiti verso i fornitori, nonché i rapporti di lavoro con il personale.
2. Il trasferimento d’azienda
Nel concetto di trasferimento d’azienda, sia totale che parziale (cd. ramo), le predette nozioni giuridiche trovano un momento di vera e propria sintesi, nel senso che il trasferimento d’azienda è preordinato all’esercizio dell’impresa stessa. La vendita dei beni materiali deve essere accompagnata dalla continuità dell'attività economica con stessa organizzazione del lavoro e stesso personale. La cessione del contratto rappresenta il raggiungimento dell’accordo in forza del quale una delle parti del contratto denominato “cedente” sostituisce a sé un terzo soggetto chiamato “cessionario”.
Il trasferimento di proprietà d’azienda, secondo l’art. 2556 del codice civile, per le imprese soggette a registrazione, deve essere provato per iscritto ed i contratti, sia essi in forma pubblica o per scrittura privata, devono essere depositati per l'iscrizione nel registro delle imprese, nel termine di trenta giorni, a cura del notaio rogante o autenticante. La cessione dell’azienda non comporta la successione nell'impresa, ma semplicemente nei rapporti aziendali. L'articolo 2558 del codice civile prevede che l’acquirente succede nei rapporti contrattuali stipulati che non abbiano carattere personale e sempreché non sia stato stabilito diversamente. Il terzo contraente può però recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del passaggio di proprietà, in presenza di una giusta causa, salvo in tale caso la responsabilità dell'alienante.
Il legislatore Europeo, prima con la Direttiva 98/50/CE del Consiglio del 29 giugno 1998 poi con la Direttiva 2001/23/CE del Consiglio del 12 marzo 2001, ha provveduto a dettare norme a salvaguardia dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti.
Il legislatore Italiano ha recepito la suddetta direttiva con il D.Lgs. 2/2/2001, n. 18, successivamente modificato dall’articolo 32 del D.Lgs. 10/09/2003, n. 276. Le norme suddette hanno modificato l’articolo 2112 del codice civile[1].
In presenza di un evento traslativo, come lo è appunto la vendita dell’azienda, in cui cambia il titolare del complesso dei beni aziendali, il legislatore ha voluto opportunamente garantire con una particolare tutela i lavoratori subordinati. Tale tutela si manifesta principalmente nel garantire al lavoratore la continuità del rapporto di lavoro alle dipendenze del nuovo proprietario dell’azienda, cioè il cessionario.
In particolare, la disciplina dell’articolo 2112 del codice civile si presenta innovativo anche con i nuovi termini “cedente” e “cessionario”. In ogni modo, quello che conta è assicurare la continuità dei rapporti di lavoro esistenti nell'ambito dell'entità economica in occasione del trasferimento dell'azienda, a prescindere dalle modalità attraverso le quali avviene lo stesso trasferimento.
Un eventuale accordo tra cedente e cessionario, in difformità all’art. 2112 del codice civile, preveda che una parte di lavoratori non passino alle dipendenze del cessionario deve considerarsi nullo, a meno ché non vi sia il consenso espresso del lavoratore. Il trasferimento non avverrà per quei lavoratori che, nonostante la cessione del ramo d’azienda, continuano a prestare la propria attività lavorativa in favore dell’imprenditore cedente senza passare al cessionario.
Quanto ai crediti che il lavoratore aveva al momento del trasferimento sussiste tra cedente e cessionario una responsabilità solidale. Tale tutela opera nei confronti del cessionario indipendentemente dalla conoscenza che questi abbia dei crediti e si estende, secondo la giurisprudenza maggioritaria, anche ai crediti relativi a rapporti di lavoro cessati prima del trasferimento risultanti dai libri contabili[2]. Mentre, per il trattamento di fine rapporto è da considerarsi unico debitore il titolare dell’impresa al momento della risoluzione del rapporto di lavoro, anche per il periodo alle dipendenze del precedente datore di lavoro, poiché solo in quel momento matura ed è determinabile nel suo importo il diritto al trattamento di fine rapporto, del quale la cessazione è fatto costitutivo[3].
Nelle imprese con più di 15 dipendenti, l’articolo 47 della Legge n. 428/1990, come modificato dall’articolo 1, del D.Lgs. 2/2/2001, n. 18 ha previsto una speciale procedura di informazione e consultazione con i sindacati. La norma prevede che il cedente e il cessionario devono comunicare il trasferimento alle rappresentanze sindacali aziendali (RSA), ovvero alle rappresentanze sindacali unitarie (RSU) delle unità produttive interessate ed ai sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato alle imprese oggetto dell’operazione, venticinque giorni prima che si perfezioni l’atto di cessione o l’obbligo di procedere alla cessione[4].
La comunicazione alle organizzazioni sindacali avviene direttamente dall’impresa interessata alla cessione ovvero per il tramite dell’associazione sindacale cui la suddetta impresa aderisce o alla quale abbia conferito mandato e deve contenere: la data effettiva del trasferimento ovvero la data proposta per il trasferimento, i motivi del programmato trasferimento, le conseguenze giuridiche, economiche e sociali che il trasferimento produrrà sui lavoratori, le eventuali misure previste in favore dei lavoratori stessi. La norma prevede, inoltre, che le organizzazioni sindacali possono chiedere entro i sette giorni successivi al cedente ed al cessionario di avviare un esame congiunto, che dovrà tenersi entro il settimo giorno successivo al ricevimento della richiesta. Trascorsi 10 giorni dall’inizio della fase di esame congiunto, anche in assenza di accordo, la procedura di consultazione si intenderà comunque esperita.
Il mancato espletamento della predetta procedura sindacale, pur non inficiando la legittimità dell’atto e quindi il trasferimento stesso dell’azienda, costituisce condotta datoriale giudicabile come antisindacale ai sensi dell’articolo 28 della legge 20/05/1970 n. 300, cd. “statuto dei lavoratori”.
La normativa non si limita a prevedere la sola prosecuzione del rapporto di lavoro con il cessionario, ma stabilisce che il trasferimento d’azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento alcuno. Inoltre, la legge ha stabilito che il cessionario è tenuto a rispettare i trattamenti economici e normativi – previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali – vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro naturale scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario. La tutela concreta consiste nel diritto riconosciuto al lavoratore a proseguire il rapporto di lavoro con l’imprenditore che acquista l’azienda. Comunque, al lavoratore rimane, in ogni caso, la facoltà di esercitare il diritto di recesso, ai sensi della normativa in materia di licenziamenti.
È da evidenziare, invece, che non costituisce trasferimento d’azienda:
- La cessione del pacchetto azionario, in quanto non comporta un passaggio nella titolarità dell’impresa, né incide sull’autonoma soggettività giuridica delle società interessate, ed i rapporti di lavoro continuano ad avere corso e ad imputarsi alle singole aziende (Corte App. Milano 9/7/2004);
- I gruppi di società, poiché le singole società, a prescindere dal collegamento societario ovvero dell’appartenenza allo stesso gruppo economico, conservano la propria autonomia e la propria distinta personalità giuridica e restano pertanto esclusive titolari dei rispettivi rapporti di lavoro (Cassazione 2/7/1981, n. 4312);
- Il mutamento di forma giuridica, in quanto in tal caso non cambia il soggetto titolare del complesso dei beni aziendali, esso rimane lo stesso ma ciò che muta è solo la sua veste giuridica (Cassazione 16/2/1986, n. 2697);
- Imprese in regime di concessione. La fattispecie per tale ipotesi non presenta in alcun modo caratteri di trasferimento d’azienda (Cassazione 25/7/2000, n. 9764).
3. Il trasferimento di ramo d'azienda
Le disposizioni previste dall’articolo 2112 del codice civile trovano applicazione non solo quando l’oggetto del trasferimento è l’intero complesso dei beni aziendali, ma anche quando il trasferimento riguarda un singolo ramo di azienda. La norma, nel merito, richiede che vi sia un passaggio di beni di non marginale entità, ovvero tale da consentire lo svolgimento di una specifica impresa.
L’articolo 2112 c.c., nella nuova formulazione del dopo D.Lgs. n. 276/2003, definisce il ramo d’azienda un’articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento .
Le modifiche apportate con il D.Lgs. n. 276/2003 hanno tenuto conto del consolidato orientamento della Corte di Cassazione in ordine ad una applicazione più estensiva del concetto di ramo d’azienda. La Corte[5] più volte ha sostenuto, ai fini della configurabilità di un trasferimento di ramo di azienda, è necessaria che la cessione di un complesso di beni dotati di una propria autonomia organizzativa ed economica funzionale allo svolgimento di una attività di produzione di beni e servizi. Inoltre, al momento del trasferimento del ramo d’azienda, il requisito dell’autonomia funzionale deve preesistere, poiché il ramo d’azienda non può essere creato al momento della cessione, in quanto ciò potrebbe comportare l’estromissione dall’impresa di eventuali lavoratori in eccedenza, senza rispettare le garanzie previste dal rapporto di lavoro in corso.
La Cassazione[6], ritornando di nuovo sul punto ha palesemente affermato che: “per ramo d’azienda, ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile – così modificato dal D.Lgs. 2/2/2001, n. 18, in applicazione della direttiva n. 98/50/CE – come tale suscettibile di autonomo trasferimento riconducibile alla disciplina dettata per la cessione di azienda, deve intendersi ogni entità economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità, il che presuppone una preesistente realtà produttiva autonoma e funzionalmente esistente, e non anche una struttura produttiva creata ad hoc in occasione del trasferimento, o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo”.
Anche i giudici della Corte di Giustizia dell’Unione Europea[7], soffermandosi sul termine “conservi” impiegato all’articolo 6, paragrafo 1, primo e terzo comma della Direttiva 2001/23/CE, chiariscono che “l’autonomia dell’entità ceduta deve, in ogni caso, preesistere al trasferimento”.
4. Conclusioni
Molto spesso i processi di riorganizzazione aziendale, imposti da esigenze di mercato, si muovono sempre più attraverso lo spostamento, trasferimento o frantumazione dell’impresa, tutti artefici che ingrandiscono di fatto le capacità competitiva dell’impresa.
Proprio in ragione di tali processi, la normativa relativa ai rapporti di lavoro nell’ambito del trasferimento d'azienda o del ramo d’azienda, disciplinata dalla normativa ricordata, sia essa italiana e comunitaria, si risolve nell’articolazione di un quadro di regole meramente volte a definire quando e come si trasferisce l’azienda, è stata oggetto di contrasti interpretativi, sia in sede giurisprudenziale sia in sede dottrinale, nonché oggetto di diverse novità legislative.
La natura speciale, che nel tempo si è andata affermando, mette in risalto l’attenzione particolare del parlamento rispetto ai rapporti giuridici che, benché da un punto di vista rigorosamente economico possono presentarsi semplicemente uno dei tanti fattori produttivi da organizzare nell’ambito di una attività d’impresa, hanno al contrario una valenza maggiore, poiché essi costituiscono il presupposto fondamentale per la realizzazione professionale ed esistenziale dei prestatori di lavoro.
La disciplina del trasferimento d’azienda o del ramo d’azienda non può soffermarsi solo a descrive una tecnica di riorganizzazione dell’attività d’impresa finalizzata a regolamentare le trasformazioni della titolarità dell’impresa, ma costituisce pure una linea di confine, nonché un punto di equilibrio tra le insostituibili e contrapposte esigenze di tutela dei lavoratori e le esigenze di trasformazione per le varie attività produttive.
È proprio vero che in tale ottica, anche sotto la spinta dell’esperienza comunitaria, normativa e giurisprudenza, il mutamento della titolarità dell’azienda o di parte di essa è stato sempre più visto dal legislatore come un processo particolare, complesso, concertativo, adatto a rendere compatibili le diverse esigenze coinvolte: non solo quelle delle aziende, ma anche quelle dei lavoratori coinvolti.
L’inderogabilità dei contratti di lavoro per garantire la tutela, l’identificazione dei diritti previsti nei confronti dei lavoratori ceduti, l’impossibilità di ricorrere al trasferimento al fine di occultare ipotesi di licenziamento, rappresentano per la società buoni principi.
Oggi i cittadini, oltre che difendere le tutele già conquistate, reclamano sempre di più il riconoscimento di nuove tutele, si chiedono come mai il paese non riesce più a decollare? Sarà colpa del sistema fiscale italiano che non incoraggia la produzione, o sarà colpa della diffusa illegalità che non favorisce la nascita di nuove aziende, o sarà colpa del particolare momento di sfiducia? o sarà colpa di altri fattori che poco conosciamo o addirittura non conosciamo per nulla? Questi sono solo alcuni degli interrogativi che ci porgiamo molto spesso. Ci chiediamo poi, dove è finita la moda italiana? Dove è l’Italia che produce? Dove è il Made in Italy? Dove sono finite le quattro A (Abbigliamento, Agroalimentare, Arredamento e Automobili). Le risposte non possono che arrivare dal Parlamento, che per il tramite del suo organo di gestione, cioè il Governo, aziona le leve dell’economia, regolamenta i mercati, assicura il benessere ai cittadini.
Note
[1] L’articolo 2112 del c.c. dal titolo mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda, così recita:
In caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.
Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.
Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all'impresa del cessionario. L'effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello.
Ferma restando la facoltà di esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti, il trasferimento d'azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento. Il lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d'azienda, può rassegnare le proprie dimissioni con gli effetti di cui all'articolo 2119, primo comma.
Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d'azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l'usufrutto o l'affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento.
Nel caso in cui l'alienante stipuli con l'acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d'azienda oggetto di cessione, tra appaltante e appaltatore opera un regime di solidarietà di cui all'articolo 29, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.
[2] Cassazione 19/12/1997, n. 12899.
[3] Cassazione 14/12/1998, n. 12548.
[4] L’articolo 2 del D.Lgs. n.18/2001, nel modificare i commi 1, 2, 3 e 4 dell'articolo 47 della legge 29/12/1990, n. 428, stabilisce:
1. Quando si intenda effettuare, ai sensi dell'articolo 2112 del codice civile, un trasferimento d'azienda in cui sono complessivamente occupati più di quindici lavoratori, anche nel caso in cui il trasferimento riguardi una parte d'azienda, ai sensi del medesimo articolo 2112, il cedente ed il cessionario devono darne comunicazione per iscritto almeno venticinque giorni prima che sia perfezionato l'atto da cui deriva il trasferimento o che sia raggiunta un'intesa vincolante tra le parti, se precedente, alle rispettive rappresentanze sindacali unitarie, ovvero alle rappresentanze sindacali aziendali costituite, a norma dell'articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nelle unità produttive interessate, nonché ai sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate al trasferimento. In mancanza delle predette rappresentanze aziendali, resta fermo l'obbligo di comunicazione nei confronti dei sindacati di categoria comparativamente più rappresentativi e può essere assolto dal cedente e dal cessionario per il tramite dell'associazione sindacale alla quale aderiscono o conferiscono mandato.
L'informazione deve riguardare:
a) la data o la data proposta del trasferimento;
b) i motivi del programmato trasferimento d'azienda;
c) le sue conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori;
d) le eventuali misure previste nei confronti di questi ultimi.
2. Su richiesta scritta delle rappresentanze sindacali o dei sindacati di categoria, comunicata entro sette giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 1, il cedente e il cessionario sono tenuti ad avviare, entro sette giorni dal ricevimento della predetta richiesta, un esame congiunto con i soggetti sindacali richiedenti. La consultazione si intende esaurita qualora, decorsi dieci giorni dal suo inizio, non sia stato raggiunto un accordo.
3. Il mancato rispetto, da parte del cedente o del cessionario, degli obblighi previsti dai commi 1 e 2 costituisce condotta antisindacale ai sensi dell'articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300.
[5] Cassazione 14/12/1998, n. 12554; 30/12/1999; 4/12/2002, n. 17207.
[6] Cassazione 10/1/2008, n. 271.
[7] Corte di Giustizia dell’Unione Europea, causa C-458/12 del 6 marzo 2014.
[*] Il dott. Luigi OPPEDISANO è funzionario ispettivo, responsabile Linea Operativa “Edilizia - autotrasporti - industria e artigianato” Vigilanza Ordinaria della Direzione Territoriale del Lavoro di Cosenza. La dott.ssa Erminia DIANA è funzionario area amministrativa e giuridico contenzioso, responsabile dell’Ufficio relazioni con il pubblico della Direzione Territoriale del Lavoro di Cosenza. Ai sensi della circolare 18 marzo 2004 le considerazioni contenute nel presente scritto è frutto esclusivo del pensiero degli autori e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.
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