Mai nella sua storia il Ministero del Lavoro, e con esso l’Ispettorato del Lavoro, era scomparso dai radar dei mass media come in questo periodo. La causa prima di ciò è la sua attuale assoluta irrilevanza politica. Questo vuoto di notizie, però, è stato interrotto da un articolo pubblicato da ItaliaOggi il 9 settembre che cerca di spiegare il disinteresse di tanti giovani vincitori di concorso a prendere servizio negli uffici dell’organo di vigilanza.
E, tuttavia, il contenuto mi è parso inadeguato sulla causa individuata, riducendo tutto alla bassa retribuzione e ignorando altri elementi di uguale importanza che diminuiscono l’appetibilità del posto di lavoro e, inoltre, determinano anche tante dimissioni. Mi riferisco, innanzi tutto, a un’organizzazione irrazionale e inefficace che impedisce agli operatori di avere una chiara visione degli obiettivi da perseguire, all’inesistente coordinamento che provoca disordine nell’attività dei vari soggetti e perché no, alle vistose disuguaglianze di carattere giuridico ed economico tra operatori che svolgono la stessa funzione.
Per un altro verso all’autrice dell’articolo va riconosciuto il merito di aver affrontato tale aspetto legato alla crisi della vigilanza, mentre è in atto da dieci anni un silenzio colpevole da parte dei tanti soloni e grandi esperti della materia con la pausa, per la verità, dovuta a un fondo di Pietro Ichino circa un anno fa. In esso si sottolineava giustamente e tuttavia con un forte ritardo che la causa prima della inefficienza dell’attività ispettiva derivava dal suo cervellotico frazionamento tra più soggetti pubblici. Tale grido d’allarme, però, andava lanciato al momento della formazione della norma istitutrice dell’Agenzia e dell’attuale sistema di vigilanza e non dopo tanti anni dalla sua creazione. Tardivo e inefficace è come chiudere la stalla, quando i buoi sono già scappati.
Purtroppo ancor più grave delle responsabilità di mass media ed esperti è l’indifferenza mostrata dall’attuale vertice politico su questo grave degrado strutturale che rende spesso vana l’azione meritoria degli ispettori del lavoro. Temo che con una tale disastrosa organizzazione le stesse misure previste nella bozza del decreto sicurezza potranno produrre risultati modesti e non determinanti.
Quanto al problema retributivo esso è reale e altrettanto importante come motivo di disaffezione o mancata appetibilità verso una funzione che forse è la più affascinante della pubblica amministrazione, ma professionalmente complessa, rischiosa e carica di responsabilità. A volte una “pratica” non ti fa dormire e non è un modo di dire. La responsabilità è personale e se commetti qualche errore paghi di persona senza avere le spalle coperte dall’apparato. Quindi un tale lavoro, per lo svolgimento del quale occorrono requisiti di prim’ordine, deve avere come contropartita una giusta retribuzione e quella attuale non lo è. Per raggiungere tale obiettivo sarebbe errato tentare di modificare quella contrattuale di settore perché si farebbe sicuramente un buco nell’acqua. Si deve, invece, puntare all’aumento del salario accessorio per raggiungere la cifra adeguata al lavoro svolto, alla sua alta professionalità a agli altri elementi accennati in precedenza. Lo stesso vale per il problema dell’elevato costo della vita nel nord e nelle sue grandi città come Milano. La soluzione non è difficile perché basterebbe un minimo d'interesse da parte del ministero per ottenere le risorse necessarie a partecipare alle spese di soggiorno, un sostegno che invoglierebbe i vincitori di concorso a prendere servizio anziché rinunciare.
I fondi per risolvere tali problemi non sono né eccessivi né difficili da trovare. Nessuno, credo, nel governo, nel Parlamento o tra le parti sociali potrebbe opporsi all’esborso di quattro spiccioli per avere il personale indispensabile e migliorare l’attività di vigilanza.
E anziché prendere questa strada assolutamente percorribile, si adottano misure improvvisate che non portano da nessuna parte, anzi peggiorano la situazione. Come quella che, con furbizia tutta italiota, per allargare la base dei partecipanti e quindi degli idonei ai concorsi per ispettori addetti alla prevenzione degli infortuni, sono stati inseriti anche titoli di studio rispettabili ma inidonei allo scopo. Poiché questa dirigenza politica non sa o non vuole prendere il toro per le corna, c’è il rischio che a furia di allargare la partecipazione ai concorsi accetti anche il possesso di titoli inferiori. Venticinque anni fa, dopo una battaglia durata decenni, i sindacati sottoscrissero un accordo con l’amministrazione recepito nel primo contratto integrativo del 2001. Stabiliva che il titolo di studio per l’accesso doveva essere esclusivamente la laurea specifica e non anche il diploma, elevando la professionalità e sanando finalmente una discriminazione che durava da oltre mezzo secolo. C’erano, infatti, ispettori di serie A e B che pur svolgendo le stesse funzioni avevano un trattamento giuridico ed economico differenziato.
L’attuale ministro dovrebbe avere a cuore l’efficienza dell’attività di vigilanza dell’Agenzia posta sotto il proprio controllo e il benessere degli operatori e fare quanto è in suo potere per conseguire entrambi i risultati, impegnandosi anche fino alle estreme conseguenze, invece di tirare a campare. Gli stessi sindacati, d’altra parte, dalle rappresentanze ministeriali fino ai vertici confederali hanno il dovere di battersi per tali obiettivi. Altrimenti tutto rimarrà come ora e ognuno continuerà a recitare la sua parte in commedia che purtroppo nella realtà è una vera e propria tragedia. Infatti non passa settimana senza infortuni mortali con sdegno e dolore ipocriti di chi dovrebbe e potrebbe adottare misure per un efficiente contrasto.
[*] Giornalista e scrittore. Consigliere della Fondazione Prof. Massimo D’Antona E.T.S.
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