L’art. 30 del D. Lgs. n. 276/2003 al secondo comma stabilisce che «in caso di distacco il datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo in favore del lavoratore».
Il riferimento al «trattamento normativo» va inteso come trattamento spettante al dipendente sulla base di quanto previsto dalla contrattazione collettiva e dal contratto individuale di lavoro.
Dalla disposizione in esame si desume che, in generale, il datore di lavoro distaccante conserva la titolarità del rapporto di lavoro e di tutte le situazioni giuridiche soggettive e passive che da esso traggono origine.
Al distaccante rimane, altresì, la titolarità del potere disciplinare il cui esercizio sarà condizionato dall’impulso nonché dalla consultazione con il distaccatario[31] nonché la titolarità del potere di assumere tutti quegli atti di gestione formale del rapporto di lavoro, suscettibili di modificarne in modo permanente l’assetto, tra i quali va menzionato anche il potere di licenziare.
Al distaccatario competono, viceversa, solo alcune posizioni soggettive attive.
Invero, con il distacco il datore di lavoro distaccante trasferisce, infatti, una quota del proprio potere direttivo al distaccatario nella misura necessaria perché questi possa coordinare la prestazione lavorativa del distaccato con gli interessi della propria organizzazione.
Sul distaccatario vengono, altresì, traslati gli obblighi di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c. e alle altre norme in materia, in ragione dell’inserzione del lavoratore all’interno di una struttura di sua pertinenza e che è invece sottratta alla disponibilità del distaccante, e salva un’eventuale culpa in eligendo del distaccante[32].
Quanto al «trattamento economico», sotto il profilo retributivo, è pacifico che il solo datore di lavoro obbligato nei confronti del lavoratore interessato è quello distaccante.
Si ritiene, comunque, ammesso il rimborso da parte del distaccatario delle spese sostenute per il lavoratore distaccato.
In proposito, la circolare del Ministero del lavoro n. 3 del 2004 ha evidenziato che «già in passato era consolidata la prassi di un loro rimborso da parte del distaccatario […] la Cassazione a Sezioni Unite 13 aprile 1989, n. 1751, ha chiarito, che il rimborso al distaccante della spesa del trattamento economico non ha alcuna rilevanza ai fini della qualificazione del distacco genuino. In ultima analisi, poiché il lavoratore distaccato esegue la prestazione non solo nell’interesse del distaccante ma anche nell’interesse del distaccatario, la possibilità di ammettere il rimborso rende più lineare e trasparente anche l’imputazione reale dei costi sostenuti da ogni singola società. In questo senso l’importo del rimborso non può superare quanto effettivamente corrisposto al lavoratore dal datore di lavoro distaccante».
È evidente che nell’ipotesi diversa in cui il rimborso risulti maggiore di quanto corrisposto al lavoratore dal datore distaccante scatta la presunzione di onerosità del distacco, proiettando la fattispecie nell’area della somministrazione irregolare.
Riguardo agli altri aspetti della disciplina del rapporto di lavoro coinvolto da un distacco, la Circolare ministeriale citata ha chiarito che a fronte della titolarità in capo al distaccante del trattamento economico, rimane a suo carico anche il trattamento contributivo, che deve essere adempiuto in relazione all’inquadramento che il lavoratore aveva presso il datore di lavoro distaccante.
Per quanto attiene all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, la circolare prevede che il relativo premio rimane a carico del datore di lavoro distaccante, ma è calcolato sulla base dei premi e delle tariffe che sono applicati al distaccatario.
Il datore di lavoro distaccante, salvo un diverso accordo tra le parti, rimane, infine, responsabile ex art. 10 D.P.R. 1124/65 in caso di azione di rivalsa in occasione di un infortunio sul lavoro, integrante ipotesi di reato, occorso al distaccato presso il distaccatario, quale soggetto incaricato della direzione e della sorveglianza del lavoro ex comma 3 del medesimo art. 10.
Nella originaria formulazione dell’art. 30 del d.lg. n. 276/2003 non vi era alcuna disposizione sugli effetti da collegare al distacco illegittimo.
L’opinione prevalente riteneva che si potesse estendere l’applicazione dell’art. 27, 1o co., del d.lg. n. 276/2003, previsto per la somministrazione irregolare, al caso in cui il lavoratore distaccato avesse reso la sua prestazione in favore di un terzo, in assenza dei requisiti costitutivi della fattispecie legale di cui all’art. 30, primo comma, in linea, peraltro, con la precedente soluzione giurisprudenziale che imputava il rapporto di lavoro del distaccato in capo all’effettivo utilizzatore[33].
La questione è stata risolta dal legislatore, con l’art. 7 del D. Lgs. n. 251/2004, che ha aggiunto all’art. 30 del d.lg. n. 276/2003 un quarto comma bis, il quale testualmente prevede che «quando il distacco avvenga in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’art. 414 del codice di procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo»[34].
Pertanto, ove il distacco intervenga in assenza dei requisiti di legittimità individuati dall’articolo 30 del decreto legislativo n. 276/2003, dovrà ritenersi configurata un’ipotesi di interposizione illecita con la possibilità per il lavoratore di ottenere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze del distaccatario.
La norma contiene, inoltre, un rinvio al secondo comma dell’articolo 27 del D. Lgs. n. 276/2003, secondo cui tutti i pagamenti (retribuzioni, contributi, premi assicurativi) eseguiti dal distaccante possono essere utilizzati per coprire tutto o parte del debito che il distaccatario ha nei confronti del distaccato e degli enti previdenziali.
Sotto il profilo penale, il comma 5-bis dell’articolo 18 del D. Lgs. 276/2003, anch’esso aggiunto dal D. Lgs. n. 251/2004, prevedeva che nei casi di “distacco privo dei requisiti di cui all’art. 30 comma 1, l’utilizzatore e il somministratore sono puniti con la pena della ammenda di euro 50 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione”; pena che si inaspriva con l’arresto fino a 18 mesi e l’ammenda aumentata fino al sestuplo in caso di sfruttamento dei minori.
Il decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 (attuativo della l. 28 aprile 2014, n. 67) ha provveduto a depenalizzare la fattispecie.
Non è più, infatti, prevista come reato l’ipotesi di intermediazione di manodopera per violazione delle disposizioni in materia di appalto e distacco, di cui all’art. 18, comma 5-bis, D. Lgs. n. 276 del 2003.
Continua, invece, ad avere rilevanza penale l’ipotesi in cui il distacco, privo dei requisiti di cui all’articolo 30, comma 1, sia commesso mediante lo sfruttamento di minori.
Ipotesi distinta e non contemplata dalla disciplina legale è l’illegittimità del distacco conseguente alla violazione degli ulteriori limiti contenuti nel terzo comma dell’art. 30, D. Lgs. n. 276/2003.
La mancanza del consenso del lavoratore e l’insussistenza delle comprovate ragioni non costituiscono elementi costitutivi della fattispecie, ma limiti legali posti a tutela del lavoratore in particolari situazioni.
In assenza di un’esplicita indicazione legislativa, non si ha uniformità di vedute circa le conseguenze sanzionatorie della violazione dei predetti limiti (si discute, infatti, se si tratti di nullità, inefficacia o annullabilità).
In ogni caso, la deviazione del distacco dal modello legislativo importa la possibilità per il lavoratore di “disattendere legittimamente” la pretesa del datore di lavoro.
La prima parte è stata pubblicata sul numero 32-33 di Lavoro@Confronto, la seconda parte è stata pubblicata sul numero 34-35 di Lavoro@Confronto
[31] M. NICOLOSI, voce Distacco (ordinamento interno), op. cit., pag. 18.
[32] V. PUTRIGNANO, Il distacco dei lavoratori, op.cit., pag. 692.
[33] Cass. lav. del 10 giugno 1999, n. 5721, cit..
[34] In caso di esito positivo del giudizio, il lavoratore ha diritto, altresì, ad un risarcimento del danno d’importo compreso tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione per il calcolo del TFR (art. 39 D. Lgs. 81/2015).
[*] Funzionario del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Nel 2016 ha conseguito il Master Universitario di Secondo livello su Legal Advisor & Human Resources Management. Dottoranda di ricerca in Scienze Giuridiche presso l’Università degli Studi di Messina. Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero dell’autrice e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione cui appartiene
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