Il dibattito sulla riduzione dell’orario
Mentre si spengono gli echi delle lotte operaie del secolo scorso per la conquista delle 44 ore settimanali, e poi della settimana corta articolata in 8 ore al giorno per cinque giorni alla settimana, si va facendo strada in Europa, e anche in Italia, la settimana lavorativa corta articolata in 4 giorni a parità di salario.
La pandemia e la necessità di lavoro da casa, lo smart working, ha generato un nuovo e diverso approccio verso il rapporto di lavoro. Da parte dei lavoratori, la nuova modalità indotta dalla pandemia ha portato ad apprezzare un lavoro liberato dai tempi e dai tragitti per il raggiungimento del posto di lavoro e dal badge. E, soprattutto ha lasciato spazio al tempo libero da dedicare agli affetti, alla famiglia, agli hobbies.
Tra i giovani, in modo particolare, è diffuso il convincimento che il lavoro non può essere totalizzante e che in nome della propria realizzazione professionale non vale la pena di trascurare affetti e interessi personali.
È così in crescita il fenomeno, conosciuto negli Stati Uniti come “great resignation”, ovvero di dimissioni volontarie spinte dal desiderio di cercare opportunità professionali e salariali migliori o un nuovo equilibrio tra vita e lavoro.
Il trend è confermato per l’Italia dai dati del Ministero del lavoro con il report sulle comunicazioni obbligatorie relative al quarto trimestre 2022.
Nel 2022 le dimissioni sono state 2 milioni e 198 mila. Un incremento molto rilevante rispetto al 2021 alla cui base vi è la ricerca di imprese che garantiscano condizioni di lavoro più concilianti, orari più flessibili, possibilità di lavoro agile. Siamo quindi di fronte ad una discontinuità culturale profonda che induce una riflessione complessiva per ripensare il modo in cui il lavoro si inserisce in una buona vita.
In molti paesi industrializzati va crescendo la convinzione che un eccesso di ore trascorse in fabbrica o in ufficio espone il lavoratore al rischio di stress da lavoro con conseguenti maggiori rischi di malattia e di infortunio. Al punto che lavoratori, istituzioni pubbliche a aziende stanno ponendo in discussione le collaudate dinamiche lavorative per considerare come una opzione reale e concreta il passaggio verso un sistema di quattro giorni di lavoro a settimana a parità di salario. Un sistema, in via di sperimentazione, si sta provando in diversi paesi in Europa e nel mondo riscuotendo pareri e risultati positivi.
L’Islanda è il paese europeo che più si è impegnato nella sperimentazione del sistema della settimana corta di quattro giorni.
Tra il 2015 e il 2019 l’Islanda con un grande progetto pilota ha sperimentato la riduzione della settimana lavorativa da 40 a 35-36 ore senza taglio proporzionale della retribuzione.
L’analisi del progetto è stata pubblicata dai ricercatori di The Autonomy, un gruppo indipendente e progressista del Regno Unito, e dall’Associazione di esperti per la sostenibilità e la democrazia (ALDA) in Islanda.
I risultati hanno mostrato che una settimana di lavoro più breve ha avuto l’effetto di un aumento del benessere dei dipendenti e la loro produttività è rimasta invariata o, è migliorata nella maggior parte dei luoghi di lavoro. Ciò ha portato i sindacati a rinegoziare i modelli di lavoro, ed ora l’86 per cento della forza lavoro in Islanda è passata ad orari più brevi e senza decurtazioni salariali.
In Spagna, il piccolo partito Màs Pais ha raggiunto l’accordo con l’esecutivo, guidata da Pedro Sanchez, per la sperimentazione della settimana lavorativa corta di 32 ore in 4 giorni.
L’accordo prevede un progetto pilota, supportato da numerosi studi, che ha lo scopo di pervenire ad un aumento della produttività attraverso la riduzione dell’orario di lavoro.
L’obiettivo è quello di coinvolgere 200 imprese e un numero totale di dipendenti tra i tre e i seimila. Quelle che aderiranno potranno contare, per il primo anno, su una copertura da parte dello stato del 100 per cento dei costi di transizione, del 50 per cento il secondo anno e del 33 per cento il terzo anno.
Sono stati posti a disposizione 50 milioni di euro di fondi europei per accedere ai quali le imprese coinvolte dovranno mantenere o ampliare l’organico e lasciare invariati i salari.
Ad un comitato, composto da imprenditori, sindacati e membri del governo, è attribuito il compito di selezionare le aziende da inserire nel progetto e di valutare i risultati.
La Scozia ha avviato un progetto sulla riduzione dell’orario di lavoro proposto dallo Scottich National Party che prevede un finanziamento di 10 milioni di sterline.
È previsto che i lavoratori avranno il loro orario ridotto del 20 per cento e non subiranno alcuna perdita del compenso.
L’iniziativa è destinata a vari settori lavorativi, come vendita al dettaglio, tecnologia e ospitalità e, in un secondo momento, verrà estesa al settore delle forze dell’ordine e degli operatori sanitari.
Nel Regno Unito, da giugno a dicembre 2022, è stato sperimentato un progetto pilota organizzato dalla ong “4 day week global” e monitorato da ricercatori dell’Università di Cambrige, dell’Università di Oxford e del Boston College.
Il progetto che ha coinvolto 70 aziende di vari settori e oltre 3.300 dipendenti è basato sulla formula 100:80:100, vale a dire cento per cento dello stipendio ai dipendenti che però lavorano l’ottanta per cento delle ore previste (di solito 32), che si impegnano a raggiungere il cento per cento dei risultati che conseguirebbero lavorando 5 giorni.
Alla metà del periodo di sperimentazione previsto, l’89 per cento delle imprese ha espresso la volontà di continuare l’esperienza. La produttività è leggermente migliorata nel 34 per cento delle aziende, è migliorata in modo significativo nel 15 per cento, per il resto è rimasta sostanzialmente invariata nonostante un giorno in meno di lavoro alla settimana.
In Italia è Intesa San Paolo, un istituto di credito italiano, a lanciare la settimana corta di 4 giorni.
La proposta della banca prevede che si possa comprimere (e non ridurre) la settimana di lavoro in quattro giorni a patto di allungare la giornata lavorativa a 9 ore.
L’iniziativa della banca, che si propone di migliorare le condizioni di vita professionale e familiare dei lavoratori, prevede una evoluzione dello smart working, con la possibilità di aumentare su base volontaria il lavoro flessibile da casa fino a 120 giorni all’anno senza limiti mensili e la settimana corta articolata in 4 giorni di 9 ore lavorative a parità di retribuzione. È inoltre prevista una indennità di buono pasto di 3 euro al giorno per tenere conto delle spese sostenute dal lavoratore da casa.
Dal gennaio 2023 i suoi lavoratori possono individualmente accedere a queste modalità compatibilmente con le esigenze tecniche, organizzative e produttive aziendali. E sarà anche avviato un periodo di sperimentazione in circa 200 filiali.
Tale proposta non ha, tuttavia, trovato un accordo con le rappresentanze sindacali del settore bancario che, pur manifestando la disponibilità a gestire il cambiamento non hanno condiviso il complesso della proposta.
Nel febbraio 2023 è stato invece raggiunto un accordo tra il Gruppo assicurativo di Intesa San Paolo e la organizzazioni sindacali aziendali del settore assicurativo. L’accordo, oltre a riconoscere incrementi di alcune componenti salariali, prevede che i lavoratori, su base volontaria, potranno richiedere l’articolazione del proprio orario di lavoro su 9 ore per 4 giornate lavorative settimanali a parità di stipendio con possibilità di scelta del giorno di riposo di lunedì o di venerdì della stessa settimana.
Il responsabile della Divisione Insurance nell’esprimere soddisfazione per l’accordo raggiunto ha sottolineato che “l’accordo permette di migliorare le condizioni economiche, lo sviluppo professionale e la risposta alle nostre persone. Le nuove norme rappresentano un fattore di attrattività per i giovani, particolarmente attenti alle aziende più sensibili rispetto all’equilibrio tra esigenze lavorative e personali.”
Nel nostro Paese non c’è molto altro. Il nostro modello di riferimento appare essere ancora quello fordista dopo circa un secolo dall’introduzione del weekend di due giorni, da parte di Henry Ford nelle sue fabbriche e 40 ore di lavoro per cinque giorni alla settimana.
Ora va evidenziato che è una banca che si fa carico di ricercare nuovi modelli organizzativi in grado di conciliare migliori equilibri di vita professionale e lavorativa dei propri dipendenti dimostrando attenzione verso il loro benessere, e senza diminuire la produttività dell’azienda.
Per il resto non risultano iniziative in tal senso da parte di soggetti istituzionali. Solo dichiarazioni di intenti da parte dei sindacati confederali che non vanno oltre l’auspicio di incentivi per le aziende che accettino di ridurre l’orario di lavoro.
Sul piano politico c’è da dire che risultano due proposte di legge della scorsa legislatura sulla introduzione della settimana lavorativa corta (AC 3438 e AC 2490).
La prima prevede una delega al Governo per l’introduzione in via sperimentale di una disciplina in materia di settimana lavorativa corta.
La proposta individua principi e criteri direttivi per il conseguimento degli obiettivi e modalità di monitoraggio. È previsto che agli oneri derivanti si provveda mediante risorse del Fondo nuove competenze quale nuovo strumento di politica attiva.
La seconda ha come fine l’istituzione di un fondo dotato di risorse da destinare alle imprese che riorganizzano le attività dei propri dipendenti su 4 giorni lavorativi a parità di orario giornaliero e di retribuzione mensile.
Per entrambe le proposte l’iter parlamentare non è andato oltre l’assegnazione in Commissione in sede referente.
Dalla parte del Governo mancano segnali di interesse verso una riflessione che tenda a superare il modello tradizionale del lavoro inserendolo nel contesto più ampio della vita umana e delle sue esigenze.
[*] Ex ispettore del lavoro, funzionario dell’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro, del Dipartimento della Funzione pubblica, dirigente del settore legislativo della Regione Campania e successivamente responsabile delle Relazioni sindacali del Comune di Roma. Attualmente svolge attività di consulente del lavoro.
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