Effemeridi • Pillole di satira e costume, per distrarsi un poco
L’amicizia è il più nobile dei rapporti umani. Fin dall’antichità è stata celebrata come un bene supremo e immortalata in opere eterne della letteratura e dell’arte. Nell’Iliade di Omero quella tra Patroclo e Achille rappresenta uno dei temi più belli e il pianto del figlio di Tetide, un guerriero feroce e implacabile, per la morte dell’amico, ucciso in battaglia da Ettore, esprime bene la grandezza di tale rapporto fatto di fedeltà, coraggio e sacrificio. Dante l’ha esaltata nei suoi versi riverendosi a Guido Cavalcanti. Per Alessandro Manzoni tale sentimento è una delle più grandi consolazioni della vita. Anche la filosofia ne celebra il valore; Aristotele la definisce come un legame che consente di volere il bene dell'altro e pertanto il suo fine è il bene comune. Platone afferma che essa per esistere ha bisogno della bontà e quindi può istaurarsi solo tra creature amorevoli. L’amicizia tra due esseri umani può trasformarsi in amore che diventa sublime quando gli amanti hanno affinità elettive come sottolinea Goethe nell’opera omonima.
Si possono avere più amici, tuttavia ce n’è sempre uno con cui tale sentimento è più intenso e si condivide una parte maggiore dei propri sentimenti. Ci sono esseri umani che per circostanze fortuite l’amico del cuore o fraterno se lo portano per tutta l’esistenza, altri, invece, che per motivi diversi, non dipendenti dalla loro volontà, istaurano tale intensa relazione con persone diverse in varie fasi della vita. Com’è stato il mio caso.
Il primo rapporto di amicizia per la pelle che ricordo risale all’infanzia. Il mio compagno si chiamava Nicola ma per me era Nicolino al quale confidavo i pensieri e i desideri più intimi e col quale passavo gran parte della giornata. Eravamo inseriti in un “branco” di ragazzi di varie età a partire dai dodici anni in giù. I giochi erano quelli di strada, alcuni dei quali anche di un certo pericolo come quello della nizza. In quanto più piccoli di tutti, a volte eravamo fatti segno con lazzi e scherzi e ci difendevamo sostenendoci l’un l’altro.
Poi ho seguito, naturalmente, i miei genitori nel loro trasferimento a Roma. Ricordo ancora l’addio straziante dedicato al mio amico e la paura propria di un bambino che lascia un approdo sicuro verso l’ignoto. Nella capitale, tuttavia, non sono rimasto isolato per molto. A scuola, infatti, ho conosciuto un coetaneo, Giorgio, con cui ho fatto subito lega. Era uno spilungone dal viso dolcissimo. Il suo grembiule celeste col fiocco bianco, come si usava all’epoca, sembrava molto corto rispetto alla sua statura, pieno di macchie blu che si evidenziavano soprattutto sul fiocco perché all’epoca non c’erano ancora le biro e si usavano pennino e inchiostro. Frequentavamo la stessa classe, anche se non eravamo compagni di banco. Pendeva dalle mie labbra e gli volevo un gran bene. La scuola era distante dalle nostre abitazioni e tuttavia ce la facevamo a piedi, sia all’andata che al ritorno anziché prendere l’autobus, che. oltretutto, era un vecchio arnese, residuato bellico; alle fermate tremava tutto come se dovesse esalare l’ultimo respiro. Facevamo ciò per risparmiare i soldi con i quali ci compravamo, dividendo a metà, un bellissimo ma, per l’epoca, costoso, ben sessanta lire, giornalino: Topolino. Mi chiedeva, con dolcezza, se lo poteva leggere per primo, aggiungendo che poi me lo avrebbe lasciato per sempre, rinunciando alla sua parte di proprietà. Acconsentivo sempre con piacere.
Il nostro desiderio di eterna amicizia, purtroppo, fu infranto da un ulteriore trasferimento della mia famiglia in un quartiere all’altra estremità della città. Nel nuovo ambiente è stata sempre la scuola uno dei veicoli di conoscenza. Questa volta il mio nuovo compagno si chiamava Gigi, il mai abbastanza rimpianto Luigi Proietti. A lui ne sono seguiti altri nel corso degli anni fino a oggi, perché, per mia natura, senza i rapporti d'intensa amicizia non mi riesce vivere appieno come, invece, sembrano fare le nuove generazioni. Ho l’impressione che siano oppresse dalla solitudine, nonostante abbiano a disposizione strumenti di comunicazione formidabili, computer, cellulari, internet, social, mai avuti dalle passate generazioni. Ma l’interesse di questi giovani è quello di chattare a distanza senza alcun interesse al contatto umano e senza di esso è difficile istaurare un vero rapporto di amicizia. Essa, infatti, ha bisogno dei sentimenti e del cuore. Se così è, spetta a noi aiutarli e farli uscire dalla solitudine perché senza amicizia non c’è umanità.
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